martedì 9 febbraio 2016

Libera nos et libera Genuam – Bresciani al g8 – Genova 2001 – Rimembranze

Bresciani a Genova
Piccola cronaca di come i bresciani hanno scampato le manganellate ed hanno fatto tana a Brignole il 21 luglio 2001

Dalla radio a tutto volume fluisce la cronaca in diretta del G8 di Genova. Da giorni si susseguono le manifestazioni, le piazze tematiche, i meetings. Ci stiamo preparando a partire anche noi. Un treno speciale, da Brescia. Si fermerà a Rovato, Franciacorta, per “quelli del 28 maggio”, poi a Brescia caricherà il grosso. È venerdì, 20 luglio 2001.
Stavolta ci siamo preparati. È la prima volta, da quando operiamo come Coordinamento dei Circoli di Rifondazione Comunista della Franciacorta, Centro Sociale 28 Maggio, sede di Rifondazione Comunista aperta al movimento, parte del movimento. Niente spranghe, servizi d'ordine, militarizzazione. Solo preparazione psicologica, e precauzioni contro i previsti attacchi massicci dei lacrimogeni. Stare uniti, portare l'acqua, il cibo, i telefonini. Stare vestiti, nonostante il caldo, portare occhiali, limoni, contro i gas.
Ed ecco che dalla radio, dalla rete delle radio alternative, echeggiano voci disperate. Un morto... hanno ucciso un ragazzo. La polizia ha sparato. Un ragazzo è morto.
Tra i compagni si sparano telefonato. Che si fa? Hanno ucciso. Hanno sparato. Lo faranno di nuovo. Qualcuno si ritira, per paura, per i genitori, per prudenza. Ma prevale in assoluto la parola d'ordine: “hanno sparato, hanno ucciso, motivo in più per partire”.

Il sacco è preparato
sull'omero mi sta ...”

Che lagna. Ci mancava solo che nelle orecchie risuoni questa stupida canzone da insegnante di musica delle scuole medie di un secolo fa. Un abbraccio alla moglie. Una immagine nella mente. Il bacio del soldato. Che palle. “sembra che tu parta per la guerra”. Sì, la guerra dei disarmati contro i padroni della più mostruosa macchina da guerra che sia mai esistita.

Stazione di Rovato, ore 21.00 di venerdì. Ci contiamo. Siamo in 86. Mica male per la Franciacorta, più qualche confinante bergamasco aggregato. C'è anche un ragazzo marocchino, che vuol venire a tutti i costi. Da quel che si capisce, simpatizza per la manifestazione, ma soprattutto vuol raggiungere Genova. Tentiamo in tutti i modi di dissuaderlo. Niente da fare. A Genova scomparirà subito. Forse l'hanno preso e riempito di botte. Non ne sapremo più nulla di preciso.

A Brescia salgono in trecento e più. Sembra di dire pochi, ma la calca in attesa sotto le pensiline è impressionante. Molti del movimento sono già a Genova. Poi c'è la FIOM, che va per conto suo. Genova chiama. Brescia risponde.

Il treno ed i suoi occupanti cazzeggiano tutta la notte su e giù, qua e là tra pianura ed Appennino. All'alba approdiamo a Sturla. È il primo treno speciale che approda a Genova, quel sabato mattina. Ce lo dice il piccolo uomo in divisa da ferroviere che ci accoglie: il capostazione. È abbordabile. Si scherza: “Berlusconi non aveva detto a tutti i genovesi di andarsene?”. “No, no, ci siamo” risponde. Poi raccomanda di sgomberare velocemente la stazione. Dal momento del nostro arrivo sono previsti altri treni speciali, uno ogni mezz'ora.

Usciamo dalla stazione e ci dirigiamo verso Genova-città. Siamo un bel vedere, all'alba. Un bel battaglione. Un anziano sceso da una Uno bianca si commuove: “Di dove siete” “Di Brescia”. “Bravi. Siete in tanti. Io ho settantadue anni, sono venuto da solo da Ascoli, ho viaggiato tutta la notte”. Una giornalista in agguato a quell'ora del mattino brinca la Mariuccia e le chiede: “Perché siete venuti? Non avete paura?”. La Mariuccia non si fa pregare e le snocciola tutti i perché della nostra presenza.

Si arriva sul lungomare. Il battaglione sceso dal treno di Brescia si divide subito in due gruppi, più o meno di pari consistenza: i compagni del Magazzino 47, di radio Onda d'Urto, quelli del movimento movimentista, se ne vanno per i fatti loro. Rifondazione Comunista ed aggregati si fermano lì. Il sole batte già forte. Ci si riposa dal viaggio notturno. Qualcuno si avventura per le vie a monte del lungomare. Cattive notizie. Le case sembrano deserte, ma è come se urlassero: “che fai in giro, cretino, torna sul lungomare”. Qualcuno ha incontrato la polizia, ci ha anche parlato. Sembra che tra i poliziotti giri la storia di manifestanti che hanno accoltellato un poliziotto. Anzi, dicono che ce la faranno pagare cara. Dalla dirigenza di Rifondazione Comunista arrivano invece rassicurazioni: “il morto l'hanno fatto ieri, oggi non succederà niente”, si pensa.

Il momento della partenza si avvicina. Come ci organizziamo? Rifondazione Comunista ha designato un responsabile della truppa di Brescia, ma non ci sono grandi idee sul da farsi. La Fiorella, prende una bandiera di Rifondazione, si procura una bomboletta nera e scrive “BRESCIA” a spruzzo sulla bandiera; trova un pezzo di canna di bambù, ed ecco fatta l'asta. Questa bandiera rimediata, tenuta alta sopra il corteo, sarà il faro che consentirà al drappello bresciano di restare unito fino alla fine della giornata.

Davanti alla chiesa di Boccadasse comincia ad ammassarsi la testa del corteo. Qualcuno, per osservare, meglio sale sui muretti delle aiuole del lungomare. Ed ecco che dalla direzione di piazzale Kennedy una grossa auto chiara avanza facendosi spazio tra i manifestanti. È una macchina civile, ma sul tetto ruota il lampeggiante della polizia. Il lampeggiante viene ritirato, e, giunta in vista della chiesa, la macchina fa una inversione ad U. Scendono due black bloc, cioè due persone non più molto giovani, tutte vestite di nero con striature biancastre, zaini neri, pantaloncini neri a mezza gamba. L'auto si allontana prontamente, ed i due finti black bloc si dirigono con decisione incontro al corteo, dissolvendosi dentro di esso.

Il corteo è partito. Presso il gruppo dei bresciani arrivano due dirigenti di Rifondazione, che premono sul responsabile della truppa sul campo perché Brescia vada in coda al corteo. Tra di noi si accende una discussione. C'è chi si oppone fermamente: non è convinto per niente che arrivare alle cinque del mattino ed aspettare mezzogiorno per andare in coda sia una scelta intelligente. Siamo fermi ai margini del corteo che scorre da qualche minuto, senza prendere una decisione. “Neanche morti aspettiamo la coda” dice Beppe. “O entriamo o usciamo” si spazientisce Angelo. Lamberto, il capo delegazione, fa valere la sua autorità: “Va bene, decidiamo! Ma parla uno solo!” un attimo di suspense e la decisione arriva: “Entriamo!”. Una decisione fortunata. Fossimo stati in coda.... chiedere a chi c'era, in coda!

Il corteo sfila sul lungomare di Genova, Viale Italia. Proprio lungo questo lungomare! Tutto è tranquillo, quando, ben più avanti di noi, vediamo che dalla cima dei palazzi cominciano a piovere lacrimogeni, così, tanto per gradire. Il corteo – migliaia e migliaia di persone, trecentomila diranno – ordinatamente si ferma, avanza un poco, retrocede un poco, con movimenti lenti e controllati. Al momento nessuno sembra avere paura. Poi si spargono le voci ... “la polizia ha bloccato il corteo” “aspettiamo” “si prende una strada alternativa per risalire verso il centro di Genova”.

E così sarà. La polizia poi romperà il corteo, attaccando selvaggiamente lo spezzone rimasto indietro; attaccherà sulla strada, sui tetti delle case, perfino in mare. Ma noi, i bresciani di Rifondazione, eravamo già passati. Ma non è stata una passeggiata tranquilla. I lacrimogeni hanno cominciato a piovere dappertutto, sparati anche dagli elicotteri. Un fischio acutissimo arriva non si sa da dove, si capisce soltanto che viene verso di noi. Il corteo si disfa e si sparpaglia come acqua da un vaso rotto. Tutti si gettano a terra. Solo la bandiera di Brescia continua a sventolare alta al centro del viale. “Ormai siamo distrutti. Abbiamo paura di tutto” commenta una ragazza, mentre il corteo si ricompone.

Finalmente arriviamo alla meta scelta dal nostro capo delegazione: piazza Romagnosi, sulla sponda destra del Bisagno, presso un ponte che collega le due rive del fiume. Qui il tempo scorre tranquillo. Presso la piazza c'è un grosso circolo di Rifondazione Comunista, dove possiamo entrare ogni tanto per le varie necessità. Nella piazza ci sono pezzi di bancarelle da mercato. Ottimo materiale per fare barricate, pensa qualcuno. Ci sono perfino delle carrette dove, volendo, si può fare anche il pisolino pomeridiano, visto che sembra di essere in un posto sicuro. Non fosse che nell'ampio salone-bar del circolo è accesa la televisione, e ogni volta che si entra si è investiti da una cascata di allarmi: scontri in corso in tutta la città, perfino a Sturla, così lontana dal centro. Che succede? Non ci avevano detto che la giornata sarebbe stata tranquilla?

Più il pomeriggio avanza, più l'atmosfera si fa gravida. Ma di che cosa? Appena di là dal ponte c'è un altro bresciano, quello della radio, che parla in continuazione al telefono, o a una rice-trasmittente. È uno di quelli che al mattino ci hanno lasciato per andare a battagliare in compagnia di quelli del Carlini, con il movimento-movimento. Anche lui è preoccupato: “i compagni sono su, verso Marassi, e la polizia non li lascia scendere”.

Che sta succedendo? In piazza Romagnosi intanto si materializza un personaggio singolare. Arriva su una specie di Vespina, ha la pettorina del Genoa-social-forum. Piuttosto minuto, media statura, un po' riccio, bocca larga, labbra un po' strette, occhi e faccia da gatto, quei gatti con la faccia larga, non triangolare. Ci dice, volgendosi dalla parte della piazza opposta al ponte sul Bisagno: “Vedete quella facciata rossa laggiù? Proprio là, a sinistra, parte una strada che vi porta dritti alla stazione di Brignole. È sgombra, l'ho fatta adesso. È tutta dritta, fino al sottopasso della ferrovia. Appena fuori del sotto passo, prendete a destra e siete già in piazza della stazione.”

Chi è? Un provocatore che ci sta tirando in una trappola? Un angelo del signore in missione per salvarci? Lo scrutiamo. I nostri occhi sono tanti raggi x che lo passano dalla cima dei capelli alla punta dei piedi, senza trovare nulla di sospetto. Il tipo non si offende per questo ispezione ottica, anzi, continua a sorridere, rassicurante. Il “28 maggio” a consulto decide di fidarsi. Se la situazione si farà davvero critica, seguiremo il suo consiglio.

Ed ecco arrivare altri compagni di Brescia. Sono quelli del servizio d'ordine storico. Hanno l'aspetto di chi è reduce da una battaglia. E poi l'allarme cresce. Si spande la voce che gli scontri, o meglio, gli attacchi della polizia, stanno avvicinandosi a noi. Si ha la netta sensazione che Genova, tutta Genova, non sia altro che una gigantesca trappola, dove qualcuno ha deciso di rinchiuderci. Vengono in mente le notizie frammentarie dei giorni precedenti. La minaccia sbandierata di attacchi terroristici dal mare. I carri armati dislocati in Piazzale Kennedy. E se qualcuno avesse pianificato questa gigantesca trappola? Se stessero stringendo i trecentomila manifestanti in una morsa, chiudendo la via del ritorno, la via di Brignole, puntando su una insorgenza esasperata, per dare vita ad una repressione spaventosa? Sennò a che servivano i carri armati? A un vero colpo di stato, con tanto di proclamazione dello stato di emergenza?

Comunque sia, paranoia o realtà, una cosa è certa: bisogna tornare a casa, e per la via più breve, e subito! Una ragazza attaccata al telefonino, grida: “Stanno arrivando!!!”. Il nostro capo delegazione sta parlando fitto con un tipo sconosciuto. Macché sconosciuto. È un pezzo grosso del partito, uno di quelli di Roma, che sta dicendo al capo delegazione di Brescia: “Entriamo dentro, che risolviamo questo problema”. Ma come, entrare nella sede del circolo Bianchini per “risolvere il problema” della polizia che arriva!? E delle centinaia di compagni lì fuori che ne sarà?

In quel preciso momento si alza un grido altissimo: “Viaaa di quiiiiiii !!!” e qualcuno si dirige con passo deciso verso la casa rossa, in direzione opposta al Bisagno, come si era concordato.

Fu un folle volo, a passo di marcia, senza concitazione, ma senza allentamenti, attraverso le vie deserte di Genova, tra automobili incendiate e rovesciate, banche assaltate, vetrine infrante. Due ragazzini in motorino escono da una banca con in mano un computer. Compare perfino il nostro uomo con la pettorina del Genoa-social-forum, sempre con la sua Vespina. Ci chiede di fermarci, o per lo meno di rallentare per un foto ricordo. Tutto il gruppo di Rifondazione di Brescia, un po' sgranato, si sta muovendo verso Brignole, la bandiera rossa con la scritta nera issata su un pezzo di bambù è sempre là, a segnare la strada. Siamo in piena marcia, quando sulla nostra sinistra sentiamo il rombo dell'elicottero. Viene esattamente da est, taglia a 90 gradi il nostro percorso. Ci oltrepassa, ci vede, torna indietro. Si abbassa, si abbassa su di noi. Adesso comincia a spararci i lacrimogeni, pensiamo. Invece no, indugia ancora un po' e ritorna da dove è venuto.

Che ore saranno? Le cinque del pomeriggio, più o meno; più più che meno. Raggiungiamo il sotto passaggio. Lungo, non finisce più. E poi usciamo al sole. Ecco la stazione di Brignole. Da lì, lo sappiamo dal mattino, devono partire i treni che ci riporteranno a casa. Adesso siamo al sicuro, pensiamo. Non oseranno attaccare centinaia di persone che evidentemente sono lì perché vogliono tornare a casa. Non potranno dire che erano black bloc scatenati che volevano distruggere Genova. Erano solo duecento bresciani che volevano tornare a case, e che volevano tornarci ad ogni costo. Affacciati sul largo spiazzo deserto della stazione, vicino ai giardinetti deserti, dall'alto del terrapieno dei binari, c'è un gruppo di sette o otto uomini. Prima ancora che ci accorgiamo di loro, ci gridano dall'alto: “Voi di dove siete?”. “Di Brescia” rispondiamo. E loro di rimando “Allora il vostro responsabile è Lamberto Lombardi. Dove è?”. E loro come fanno a saperlo? Chi sono? Amici o nemici? Ad ogni buon conto rispondiamo che anche il capo arriverà.

Davanti alla stazione lo spazio è enorme, e vuoto, al momento del nostro arrivo. Comincia l'attesa, tra telefonate, notizie che si rincorrono, capannelli. La stazione è chiusa, ermeticamente chiusa. Ma dovranno pure farci partire, prima o dopo.

Il tempo passa. Qualche gruppo di compagni, oltre ai bresciani, comincia a comparire. E finalmente, dal sottopassaggio sbuca una vera colonna di compagni, ben inquadrati, numerosi, ancora con la banda in funzione e vogliosa di suonare le canzoni della ribellione. Ora i compagni davanti alla stazione sono alcune migliaia. Forse adesso qualcosa si muoverà.

Invece la stazione rimane ostinatamente chiusa. Invece degli annunci liberatori degli orari dei treni in partenza per il ritorno a casa, dal sottopasso sbuca un blindato, a gran velocità, e poi un altro, e poi un altro, a decine, uno appresso all'altro. Da una botola sul tetto di ogni blindato sbuca un poliziotto, col lanciagranate spianato e puntato. Dal gruppo di compagni arrivati per ultimi, ammassati vicino al passaggio dei blindati, si alzano urla di protesta, insulti, sberleffi verso i poliziotti che sfrecciano veloci. Qualche compagna non regge la tensione, e prorompe in un pianto nervoso. Ma non è finita: da una via prossima allo sbocco del sottopasso arriva un'altra colonna che raddoppia la scena di prima. Altre decine e decine di blindati, altre e più alte urla dei dimostranti. Un poliziotto sembra capire l'assurdità del lanciagranate spianato, lo alza in alto, e lo appoggia in riposo sul tetto del blindato. Uno su cento.

La massa dei manifestanti in attesa davanti alla stazione si ingrossa. Ormai saranno quindici mila. Qualcuno si chiede dove siano finiti i blindati che ci sono passati davanti. Non possono essere svaniti nel nulla. Davanti alla stazione lo spiazzo è grandissimo, in parallelo alla stazione e ai binari. Invece davanti, voltando le spalle alla stazione, la piazza non sembra così grande. Meglio, non si capisce quanto sia grande, perché, dopo un tratto pavimentato, si vede che comincia una zona alberata, ma poi si intuisce che il terreno forma una schiena d'asino, e non si vede oltre. E davanti alla zona alberata si sono posizionate molte ambulanze, le Misericordie di Genova. Sono più di una decina e sembrano costituire uno schermo. Qualcuno si stacca dai manifestanti, le usa come copertura, le oltrepassa, si inoltra nella zona alberata, guarda oltre. Mio dio, ecco dove sono finiti i blindati. Da lì si vede che la piazza nel suo complesso è davvero immensa, e tutta la parte non visibile dalla stazione è letteralmente circondata da una schieramento continuo di blindati alternati a gip, per tutto il perimetro della piazza. E davanti agli automezzi, una triplice fila di militari in assetto da guerra. Migliaia, si direbbe. Una trappola, un'altra trappola. Ma non la finiranno mai?

Finalmente la stazione viene aperta, ed il malvagio signor Hyde istituzionale che ha imperversato per tutta la settimana, e che è ancora in agguato nella parte nascosta della piazza, si trasforma nel buon dottor Jekyll nelle vesti del comune di Genova che ha preparato nei locali della stazione distribuzione di acqua e di cibo per i manifestanti.

Qualche treno comincia a partire, ma poi tutto sembra bloccarsi. In stazione si incontrano gruppi di poliziotti in servizio. Alcuni sogghignano sotto i baffi, come se avessero in serbo qualche sorpresa; qualche altro sembra decisamente vergognarsi di quello che accade. Davvero non è ancora finita?

Arriva l'autorizzazione a salire sui treni. Ne è passato di tempo, ormai è notte sempre più avanzata. Ma il rombo degli elicotteri, che si è sentito per tutta la giornata, non è cessato. Anzi, sarà l'effetto della notte, sembra sempre più intenso ed ossessivo, e continuerà per molto tempo a turbare i sonni anche di chi non ha avuto da Genova danni più gravi. E i treni non si muovono. Siamo ancora fermi in stazione quando arrivano, per radio, per telefono, le prime notizie dell'attacco alla Diaz ed al centro informativo del G8. L'urlo di rabbia strozzata che sale in gola a ciascuno ti spingerebbe a scendere dai treni, ad uscire dalla stazione, a fare ... che cosa? Là fuori c'erano – ci saranno ancora, di certo – migliaia di uomini in assetto da guerra. E non dimentichiamo i carri armati. Qualcuno lo grida anche: “giù dai treni!!!”. Per fortuna nessuno si muove. Forse, anche senza saperlo con certezza, ognuno ha sospettato la trappola. Oppure tutti sono troppo stanchi. È un fatto che, mentre avveniva il massacro della Diaz, migliaia di manifestanti erano ancora sui treni a Brignole.

Molti si sono chiesti quale fosse lo scopo di quel massacro. Se si pensa che vi sono stati impegnati dirigenti di primo piano dei servizi segreti, che a Brignole i treni erano stati tenuti fermi per ore, fino al momento dell'attacco, che attorno alla stazione erano pronti migliaia di uomini, non si può certo escludere che gli obiettivi della operazione Diaz, se la miccia avesse funzionato, fossero ben più ambiziosi di un puro sfogo di violenza sadica su un centinaio di manifestanti, in buona parte stranieri.

Poi anche il treno per Brescia, via Milano-Rogoredo, parte, per fermarsi poco dopo in piena galleria. Ancora un po' di tensione, come se non bastasse la dose assorbita in tutta la giornata. Ma non accade nulla. Il treno riparte, senza altri inciampi, anche se la sosta è lunga. In alcune stazioni, sulla via del ritorno, la presenza della polizia è massiccia.

A Rogoredo, dal treno scendono i milanesi: è ancora quasi notte, ma si intravedono sulla banchina sfilare uno dopo l'altro decine di ragazzi con lo zaino sulle spalle, come vecchi partigiani. Sembrano smilzi, quasi smagriti. Di certo sono fra quelli che si sono fatti tutto il G8 al Carlini. Sembrano curvi, abbattuti, non solo per bilanciare il peso degli zaini. Forza ragazzi, per un volta avete vinto, abbiamo vinto. Per una volta chi ha perso ha vinto.

Ma poi è cominciata un'altra storia. Chi doveva tradurre in politica la vostra, la nostra vittoria, ha pensato di usarla per cucinarla alla sua bottega. Mandando in rovina se stesso. E tutti noi.


Ma chi non si arrende vince sempre.

Da  http://variazioni.myblog.it/2011/07/25/libera-nos-et/  Pubblicato il: 25 luglio 2011 @ 14:50

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