Troppo vero per non rilanciarlo, anche se farà venire l'orticaria ai rivoluzionari che, dopo la rivoluzione virtuale chiamata realtà potenziata dei Pokèmon-go, ripiegano sulla rivoluzione a tappe (Road to revolution) con un viaggio turistico tra le parole - non pretendiamo troppo da chi voleva fare la rivoluzione sulla pelle dei migranti saliti sulla gru a Porta Trento - Brescia, qualche anno fa! E parimenti andrà di traverso a tutti i tifosi con megafono che, in compagnia di quelli sopra-citati, applaudivano - nei fatti e non nelle parole, in questo caso, ai liberatori americani dell'Iraq, e poi in Libia, e poi in Siria, spingendo con tutte le loro forze in direzione ostinata e convergente con lo zio Sam, negando agli iracheni il diritto di difendersi.
Buona lettura
Pilger: Terza Guerra Mondiale, solo Trump non la vuole
Scritto il 02/4/16
Ho
filmato nelle Isole Marshall, a nord dell’Australia, nel bel mezzo
dell’Oceano Pacifico. Ogni volta che dico alla gente dove sono stato, mi
chiedono: «Dove si trovano?». Se come indizio faccio riferimento a
“Bikini”, dicono: «Vuoi dire il costume da bagno». Pochi si rendono
conto del fatto che il costume da bagno bikini è stato chiamato così per
celebrare le esplosioni nucleari che hanno distrutto l’isola di Bikini.
Sessantasei dispositivi nucleari furono fatti brillare dagli Stati
Uniti nelle Isole Marshall tra il 1946 e il 1958 – l’equivalente di 1,6
bombe [della potenza di quella che colpì] Hiroshima – ogni giorno, per
dodici anni. Oggi Bikini tace, trasformata e contaminata. Le palme
crescono in una strana disposizione a griglia. Nulla si muove. Non ci
sono uccelli. Le lapidi nel vecchio cimitero sono tuttora radioattive.
Le mie scarpe registrano un “pericoloso” sul contatore Geiger. Sulla
spiaggia, ho visto il verde smeraldo del Pacifico sprofondare in un
grande buco nero. È il cratere causato dalla bomba all’idrogeno che
chiamavano “Bravo”. L’esplosione avvelenò la gente e l’ecosistema per
centinaia di chilometri, forse per sempre.
Al
mio ritorno, fermandomi all’aeroporto di Honolulu notai una rivista
americana chiamata “Women’s Health”. Sulla copertina c’era una donna
sorridente in bikini, e il titolo: “Anche voi, potete avere un corpo da
bikini”. Pochi giorni prima, nelle Isole Marshall, avevo intervistato
donne che hanno avuto “corpi da bikini” molto diversi; ognuna di loro
soffriva di cancro alla tiroide e di altri tumori mortali. A differenza
della donna sorridente sulla rivista, tutte erano povere: vittime e
cavie umane di una superpotenza rapace che oggi è più pericolosa che
mai. Racconto questa mia esperienza come avvertimento e per interrompere
una confusione che ha stremato tanti di noi. Il fondatore della
propaganda moderna, Edward Bernays, descrisse questo fenomeno come «la
manipolazione consapevole e intelligente di abitudini e opinioni» delle
società democratiche. Lo chiamò un «governo invisibile». Quante sono le
persone consapevoli del fatto che una guerra mondiale è cominciata? Per
il momento si tratta di una guerra di propaganda, di menzogne, di
distrazione, ma tutto ciò può cambiare istantaneamente con il primo
ordine sbagliato, con il primo missile.
Nel 2009, il presidente Obama si trovava davanti ad una folla adorante nel centro di Praga, nel cuore dell’Europa.
Lì si impegnò a rendere il mondo «libero da armi nucleari». La gente lo
applaudì e alcuni piansero. Un torrente di banalità fluì da parte dei media.
Successivamente, ad Obama fu assegnato il premio Nobel per la Pace. Era
tutto falso. Stava mentendo. L’amministrazione Obama ha costruito più
armi nucleari, più testate nucleari, più sistemi di distribuzione
nucleari, più fabbriche nucleari. La sola spesa per le testate nucleari è
cresciuta di più sotto Obama che sotto ogni altro presidente americano.
Spalmato su trent’anni, il costo supera il trilione di dollari. Si sta
pianificando la fabbricazione di una mini-bomba nucleare. È conosciuta
come la B61 Modello 12. Non c’è mai stato nulla di simile. Il generale
James Cartwright, un ex vice presidente del Joint Chiefs of Staff, ha
detto: «Facendolo più piccolo [rende l'utilizzo di questo ordigno
nucleare] un’arma più plausibile».
Negli
ultimi diciotto mesi, il più grande accumulo di forze militari dalla
Seconda Guerra Mondiale – pianificato dagli Stati Uniti – si sta
attuando lungo la frontiera occidentale della Russia. È dai tempi
dell’invasione di Hitler all’Unione Sovietica che la Russia non subisce
una minaccia tanto evidente da parte di truppe straniere. L’Ucraina – un
tempo parte dell’Unione Sovietica – è diventata un parco a tema della
Cia. Dopo aver orchestrato un colpo di stato a Kiev, Washington
controlla effettivamente un regime che è vicino e ostile alla Russia: un
regime letteralmente infestato da nazisti. Parlamentari ucraini di
spicco sono i diretti discendenti politici dei famigerati fascisti
dell’Oun e dell’Upa. Inneggiano apertamente a Hitler e chiedono
l’oppressione e l’espulsione della minoranza di lingua russa. Raramente
questo fa notizia in Occidente, o la si inverte per sopprimere la
verità. In Lettonia, Lituania ed Estonia – alle porte della Russia –
l’esercito americano sta schierando truppe da combattimento, carri
armati, armi pesanti. Di questa estrema provocazione alla seconda
potenza nucleare del mondo non si parla in Occidente.
Quello
che rende la prospettiva di una guerra nucleare ancora più pericolosa è
una campagna parallela contro la Cina. Sono rari i giorni in cui la
Cina non raggiunge il rango di “minaccia”. Secondo l’ammiraglio Harry
Harris, comandante della flotta statunitense nel Pacifico, la Cina sta
«costruendo un grande muro di sabbia nel Mar Cinese Meridionale». Ciò a
cui fa riferimento è che la Cina sta approntando piste di atterraggio
nelle Isole Spratly, che sono oggetto di un contenzioso con le Filippine
– una controversia senza priorità fino a quando Washington non fece
pressioni corrompendo il governo di Manila, mentre il Pentagono ha
lanciato una campagna di propaganda chiamata “libertà di navigazione”.
Cosa significa tutto ciò, in realtà? Significa che le navi da guerra
americane hanno la libertà di pattugliare e dominare le acque costiere
della Cina. Provate ad immaginare la reazione americana se navi da
guerra cinesi facessero la stessa cosa al largo della costa della
California.
Ho
girato un film intitolato “La Guerra che non vedete”, in cui ho
intervistato illustri giornalisti in America e in Gran Bretagna:
reporter del calibro di Dan Rather della “Cbs”, Rageh Omaar della “Bbc”,
David Rose dell’“Observer”. Tutti hanno detto che se i giornalisti e le
emittenti mediatiche avessero fatto il loro dovere e messo in
discussione la propaganda che asseriva che Saddam Hussein possedeva armi
di distruzione di massa, e se le bugie di George W. Bush e Tony Blair
non fossero state amplificate e riportate dai giornalisti, l’invasione
dell’Iraq nel 2003 non sarebbe avvenuta, e centinaia di migliaia di
uomini, donne e bambini sarebbero ancora vivi, oggi. In linea di
principio la propaganda che sta preparando il terreno per una guerra
contro la Russia e/o la Cina non è diversa. Per quanto ne so io, nessun
giornalista occidentale tra i più quotati – uno come Dan Rather, per
dire – chiede perché la Cina sta costruendo piste di atterraggio nel Mar
Cinese Meridionale.
La
risposta dovrebbe essere palesamente ovvia. Gli Stati Uniti stanno
circondando la Cina con una rete di basi con missili balistici, gruppi
d’assalto, bombardieri armati di testate nucleari. Questo arco letale si
estende dall’Australia alle isole del Pacifico, le Marianne e le
Marshall e Guam nelle Filippine, quindi in Thailandia, a Okinawa, in
Corea e in tutta l’Eurasia, in Afghanistan e in India. L’America ha
appeso un cappio intorno al collo della Cina. Ma questo non fa notizia.
Il silenzio dei media è guerra tramite i media.
In tutta segretezza, nel 2015, gli Stati Uniti e l’Australia hanno
inscenato la più grande esercitazione militare “aria-mare” della storia
recente, chiamata “Talisman Sabre”. Lo scopo era quello di collaudare un
piano di battaglia “aria-mare”, bloccando arterie marittime, come lo
Stretto di Malacca e lo Stretto di Lombok, che tagliano l’accesso della
Cina al petrolio, gas e altre materie prime vitali che arrivano dal
Medio Oriente e dall’Africa.
Nel
circo noto come la campagna presidenziale americana, Donald Trump è
stato presentato come un pazzo, un fascista. Certamente odioso lo è; ma è
anche una figura di odio mediatico. Questo da solo dovrebbe suscitare
il nostro scetticismo. Il punto di vista di Trump sulla migrazione è
grottesco, ma non più grottesco di quello di David Cameron. Non è Trump
il “grande deportatore” dagli Stati Uniti, ma il vincitore del Premio
Nobel per la Pace, Barack Obama. Secondo un geniale commentatore
liberale, Trump sta «scatenando le forze oscure della violenza» negli
Stati Uniti. Sta scatenando? Questo è il paese dove i poco più che
lattanti sparano alle loro madri e dove la polizia ha dichiarato una
guerra assassina contro i neri americani. Questo è il paese che ha
attaccato e cercato di rovesciare più di 50 governi, molti dei quali
democrazie, e bombardato dall’Asia al Medio Oriente, causando morte e
privazioni a milioni di persone. Nessun paese può uguagliare questo
sistematico record di violenza. La maggior parte delle guerre americane
(quasi tutte contro paesi indifesi) sono stati lanciate non da
presidenti repubblicani, ma da democratici liberali: Truman, Kennedy,
Johnson, Carter, Clinton, Obama.
Una
serie di direttive del Consiglio di Sicurezza Nazionale, nel 1947,
determinava che l’obiettivo primario della politica estera americana
fosse “un mondo sostanzialmente fatto a propria [dell'America]
immagine”. L’ideologia era l’americanismo messianico. Eravamo tutti
americani. Altrimenti…. gli eretici sarebbero stati convertiti,
sovvertiti, corrotti, macchiati o schiacciati. Donald Trump è un sintomo
di tutto ciò, ma è anche un anticonformista. Dice che è stato un
crimine invadere l’Iraq; lui non vuole andare in guerra contro la Russia
e la Cina. Il pericolo per il resto di noi non è Trump, ma Hillary
Clinton. Lei non è anticonformista. Lei incarna la resilienza e la
violenza di un sistema il cui decantato “eccezionalismo” è totalitario,
con un occasionale volto liberale. Mentre il giorno delle elezioni
presidenziali si avvicina, la Clinton sarà salutata come il primo
presidente donna, a prescindere dai suoi crimini e menzogne – proprio
come Barack Obama è stato osannato come il primo presidente nero e i
liberali si bevvero le sue sciocchezze sulla “speranza”. E lo sbavare
continua.
Descritto
dal giornalista del “Guardian” Owen Jones come «divertente,
affascinante, con un’impassibilità che sfugge praticamente ad ogni altro
politico», l’altro giorno Obama ha inviato droni a macellare 150
persone in Somalia. Di solito lui uccide la gente il martedì, secondo
quanto scrive il “New York Times”, quando gli viene consegnato un elenco
di candidati per la morte da drone. Molto cool. Nella campagna
presidenziale del 2008, Hillary Clinton minacciò di «annientare
totalmente» l’Iran con armi nucleari. Come segretario di Stato sotto
Obama, ha partecipato al rovesciamento del governo democratico
dell’Honduras. Il suo contributo alla distruzione della Libia nel 2011 è
stato quasi allegro. Quando il leader libico, il colonnello Gheddafi,
fu pubblicamente sodomizzato con un coltello – un omicidio reso
possibile dalla logistica americana – la Clinton gongolava per la sua
morte: «Siamo venuti, abbiamo visto, lui è morto».
Uno
dei più stretti alleati della Clinton è Madeleine Albright, l’ex
segretario di Stato, che ha attaccato le giovani donne che non
sostengono “Hillary”. Questa è la stessa Madeleine Albright, tristemente
ricordata per aver detto in tv che la morte di mezzo milione di bambini
iracheni era «valsa la pena». Tra i più grandi sostenitori della
Clinton troviamo la lobby israeliana e le società di armi che alimentano
la violenza in Medio Oriente. Lei e suo marito hanno ricevuto una
fortuna da Wall Street, e lei sta per essere nominata come candidato
delle donne, per sbarazzarsi del malvagio Trump, il demone ufficiale. I
suoi sostenitori includono femministe illustri: gente del calibro di
Gloria Steinem negli Stati Uniti e Anne Summers in Australia. Una
generazione fa, un culto post-moderno ora conosciuto come “politica
dell’identità” ha fatto sì che molte persone intelligenti e dalla
mentalità liberale smettessero di esaminare le cause e gli individui che
sostenevano – come le falsità di Obama e della Clinton, o come i
fasulli movimenti progressisti tipo “Syriza” in Grecia, che hanno
tradito il popolo di quel paese e si sono alleati con i loro nemici.
L’essere assorbiti da se stessi, una sorta di “me-ismo”, è diventato il
nuovo spirito del tempo nelle società occidentali privilegiate ed ha
siglato la fine dei grandi movimenti collettivi contro la guerra,
l’ingiustizia sociale, la disuguaglianza, il razzismo e il sessismo.
Oggi,
il lungo sonno potrebbe essere terminato. I giovani si stanno scuotendo
di nuovo, gradualmente. Le migliaia in Gran Bretagna che hanno
sostenuto Jeremy Corbyn come leader laburista fanno parte di questo
risveglio – come lo sono quelli che si sono radunati per sostenere il
senatore Bernie Sanders. La settimana scorsa in Gran Bretagna, il più
stretto alleato di Jeremy Corbyn, John McDonnell, ha impegnato un
prossimo governo laburista a pagare i debiti delle banche
piratesche, cioè a continuare di conseguenza, la cosiddetta austerità.
Negli Stati Uniti, Bernie Sanders ha promesso di sostenere la Clinton se
e quando sarà nominata come candidato presidenziale. Anche lui ha
votato perché l’America usi la violenza contro altri paesi quando pensa
che sia «giusto». Dice che Obama ha fatto «un ottimo lavoro».
In Australia, c’è una sorta di politica mortuaria, in cui i noiosi giochi parlamentari vengono riproposti nei media,
mentre i rifugiati e gli indigeni sono perseguitati e la disuguaglianza
cresce, insieme al pericolo di guerra. Il governo di Malcolm Turnbull
ha appena annunciato un cosiddetto bilancio per la difesa di 195
miliardi di dollari che avvicina alla guerra. Non c’è stato alcun
dibattito. Silenzio. Dov’è andata a finire la grande tradizione di
azione diretta popolare, slegata dai partiti? Dove sono il coraggio, la
fantasia e l’impegno necessari per iniziare il lungo viaggio verso un
migliore, giusto e pacifico mondo? Dove sono i dissidenti dell’arte, del
cinema, del teatro, della letteratura? Dove sono quelli che romperanno
il silenzio? O aspettiamo che venga sparato il primo missile nucleare?
(John
Pilger, riassunto di una recente lezione tenuta all’Università di
Sydney, dal titolo “Una Guerra Mondiale è cominciata”; post ripreso dal
sito “Counterpunch” del 23 marzo 2016 e tradotto da Gianni Ellena per
“Come Don Chisciotte”. Di origine australiana, tra i più noti e
prestigiosi giornalisti internazionali, Pilger ha ricevuto numerosi
premi e dottorati per le sue battaglie per i diritti umani ed è stato
nominato per ben due volte “Giornalista dell’anno” in Inghilterra).