martedì 23 febbraio 2016

L'Italia fornisce le basi per le operazioni americane in Libia

L'Italia fornisce le basi per le operazioni americane in Libia
Ma non è una guerra - dice Gentiloni

L'ipocrisia del nostro ministro degli esteri è spettacolare. In attesa della riunione di domani sera 24 febbraio del comitato bresciano "Donne e uomini contro la guerra" presso la "Casa della sinistra" di via Eritrea 20 (dentro il cortile, di fronte al Bresciaoggi), riporto il comunicato del Comitato Nazionale "No guerra - No Nato" stilato in data 20 febbraio 2016


COMUNICATO DEL COMITATO 'NO GUERRA NO NATO'
SULLA SITUAZIONE ATTUALE


Siamo in stato di guerra, impegnati su due fronti che di giorno in giorno divengono sempre più incandescenti e pericolosi.


Accusando la Russia di «destabilizzare l'ordine della sicurezza europea», la NATO sotto comando USA ha riaperto il fronte orientale, trascinandoci in una nuovaguerra fredda, per certi versi più pericolosa della precedente, voluta soprattutto da Washington per spezzare i rapporti Russia-UE dannosi per gli interessi statunitensi.

Mentre gli USA quadruplicano i finanziamenti per accrescere le loro forze militari in Europa, viene deciso di rafforzare la presenza militare «avanzata» della NATO nell'Europa orientale. La NATO - dopo aver inglobato tutti i paesi dell'ex Patto di Varsavia, tre della ex Jugoslavia e tre della ex URSS - prosegue la sua espansione a Est, preparando l'ingresso di Georgia e Ucraina (questa di fatto già nella Nato), spostando basi e forze, anche nucleari, sempre più a ridosso della Russia.

Tale strategia rappresenta anche una crescente minaccia per la democrazia in Europa. L'Ucraina, dove le formazioni neonaziste sono state usate dalla NATO nel putsch di EuroMaidan, è divenuta il centro di reclutamento di neonazisti da tutta Europa, i quali, una volta addestrati da istruttori USA della 173a divisione aviotrasportata trasferiti qui da Vicenza, vengono fatti rientrare nei loro paesi con il «lasciapassare» del passaporto ucraino. Si creano in tal modo le basi di una organizzazione paramilitare segreta tipo «Gladio».

USA e NATO preparano altre operazioni sul fronte meridionale, strettamente connesso a quello orientale. Dopo aver finto per anni di combattere l'ISIS e altri gruppi, rifornendoli segretamente di armi attraverso la Turchia, gli USA e alleati chiedono ora un cessate il fuoco per «ragioni umanitarie». Ciò perché le forze governative siriane, sostenute dalla Russia, stanno liberando crescenti parti del territorio occupate da ISIS e altre formazioni, che arretrano anche in Iraq.

Allo stesso tempo la NATO rafforza il sostegno militare alla Turchia, che con l'Arabia Saudita mira a occupare una fascia di territorio siriano nella zona di confine. A tale scopo la Nato, con la motivazione ufficiale di controllare il flusso di profughi (frutto delle guerre USA/NATO), dispiega nell'Egeo le navi da guerra del Secondo gruppo navale permanente, che ha appena concluso una serie di operazioni con la marina turca. Per lo stesso scopo, vengono inviati anche aerei radar Awacs, centri di comando volanti per la gestione del campo di battaglia.


Nello stesso quadro strategico rientra l'operazione, formalmente «a guida italiana», che la coalizione a guida Usa si prepara a lanciare in Libia, per occupare le zone costiere economicamente e strategicamente più importanti, con la motivazione ufficiale di liberarle dai terroristi dell'ISIS. Si prepara così un'altra guerra USA/NATO, dopo Iraq 1991, Jugoslavia 1999, Afghanistan 2001, Iraq 2003, Libia 2011, Siria dal 2013, accompagnate dalla formazione dell'ISIS e altri gruppi terroristi funzionali alla stessa strategia.

Tale operazione è stata concordata dagli Stati uniti non con l'Unione europea, inesistente su questo piano come soggetto unitario, ma singolarmente con le maggiori potenze europee, soprattutto Francia, Gran Bretagna e Germania. Potenze che, in concorrenza tra loro e con gli USA, si uniscono quando entrano in gioco gli interessi fondamentali.

Oggi 22 dei 28 paesi della UE, con oltre il 90% della popolazione dell'Unione, fanno parte della Nato, riconosciuta dalla UE quale «fondamento della difesa collettiva». Sempre sotto comando USA: il Comandante supremo alleato in Europa è nominato dal Presidente degli Stati uniti e sono in mano agli USA tutti gli altri comandi chiave della Nato.

Va ricordato a tale proposito l'orientamento strategico enunciato da Washington al momento dello scioglimento del Patto di Varsavia e della disgregazione dell'Urss: «Gli Stati uniti rimangono il solo Stato con una forza, una portata e un'influenza in ogni dimensione - politica, economica e militare - realmente globali. Non esiste alcun sostituto alla leadership americana. Fondamentale èpreservare la NATO quale canale della influenza e partecipazione statunitensi negli affari europei, impedendo la creazione di dispositivi unicamente europei che minerebbero la struttura di comando dell'Alleanza».

Non si può pensare di costruire una Europa diversa, senza liberarci dal dominio e dall'influenza che gli USA esercitano sull'Europa direttamente e tramite la Nato.

Anche perché l'avanzata USA/ NATO ad Est e a Sud già coinvolge la regione Asia/Pacifico, mirando alla Cina, riavvicinatasi alla Russia. È il tentativo estremo degli Stati uniti e delle altre potenze occidentali di mantenere la supremazia economica, politica e militare, in un mondo nel quale l'1% più ricco della popolazione possiede oltre la metà della ricchezza globale, ma nel quale emergono nuovi soggetti sociali e statuali che premono per un nuovo ordine economico mondiale.

Questa strategia aggressiva ha provocato un forte aumento della spesa militare mondiale, trainata da quella USA, che è risalita in termini reali ai livelli della guerra fredda: circa 5 miliardi di dollari al giorno. La spesa militare italiana, al 12° posto mondiale, ammonta a circa 85 milioni al giorno. Un enorme spreco di risorse, sottratte ai bisogni vitali dell'umanità.

In tale quadro, particolarmente grave è la posizione dell'Italia che, imprigionata nella rete di basi USA e di basi NATO sempre sotto comando USA, è stata trasformata inponte di lancio delle guerre USA/NATO sui fronti orientale e meridionale. Per di più, violando il Trattato di non-proliferazione, l'Italia viene usata come base avanzata delle forze nucleari statunitensi in Europa, che stanno per essere potenziate con lo schieramento delle bombe B61-12 per il first strike nucleare.

Per uscire da questa spirale di guerra dagli esiti catastrofici, è fondamentale costruire un vasto e forte movimento per l'uscita dell'Italia dalla Nato, per un'Italia libera dalla presenza delle basi militari statunitensi e di ogni altra base straniera, per un'Italia sovrana e neutrale, per una politica estera basata sull'Articolo 11 della Costituzione, per una nuova Europa indipendente che contribuisca a relazioni internazionali improntate alla pace, al rispetto reciproco, alla giustizia economica e sociale.


Roma, 20 febbraio 2016.

sabato 20 febbraio 2016

Bilderberg e Mont Pelerin Society unite nella lotta

Stasera 20 febbraio dopo le 20.30 due leggiadre fanciulle di nome Lilli Gruber e Serena Sileoni hanno leggiadramente tentato di infilare in quel posto ai pensionati e soprattutto alle pensionate la cancellazione delle reversibilità, con il valido supporto della ex SEL Titti Di Salvo, ora passata a miglior vita nel carrozzone renziano, sulle orme dell'altro campione di salto sul carro, il Migliore di nome e di fatto.
La distribuzione dei ruoli è stata perfetta: la Titti (Di Salvo) aveva il compito di stendere la vaselina, con la tesi che l'abolizione della reversibilità era un abbaglio dei nemici di Renzi, essendo che l'interprete autentico di una legge è chi la fa; ed il governo, che l'ha fatta, secondo la Titti, dice di essere stato frainteso, e che la norma non esiste; la Lilli, essendo super partes, si è limitata a richiamare il senso di giustizia, per cui ognuno deve avere il giusto, cioè deve ricevere in proporzione a quanto ha versato; per cui, sembra di capire, nessuna pensione è mai troppo alta e mai troppo bassa, se è proporzionata a quanto la persona ha preso, e quindi versato, durante la vita lavorativa - naturalmente è implicito, nel "ragionamento" della Lilli, che è giusto che un manager prenda milioni al mese, e quindi prenda una pensione della stessa misura, e che un disoccupato, o un precario di oggi prenda una pensione pari a zero o giù di lì.
Ma il top si è raggiunto con la dottoressa Simona Sileoni. Dottore di ricerca in diritto pubblico comparato, assegnista in diritto costituzionale all'Università degli Studi di Milano Bicocca, questa conturbante opinionista, sbirciando gli appunti che lei stessa, o qualcun altro aveva preparato, dopo varie tergiversazioni ha finalmente svelato l'arcano: tutti devono pagarsi integralmente e personalmente la propria pensione privata, affidando i suoi soldi agli speculatori di professione. Così tutti saranno felici e contenti.
In mezzo a questo bombardamento a tappeto il neo segretario nazionale dei pensionati, il valtriumplino e veronese di adozione Ivan Pedretti non si è scomposto più di tanto, pur non essendo beato fra le donne, e dovendo combattere contro la costante pressione sopraffattrice delle tre grazie.
Ma non è questo il punto vero della questione: lasciando perdere la ex-sellina, è NOTORIO, ma, appunto essendo notorio, non va poi subito accantonato, che Lilli Gruber è ormai di casa alle riunioni annuali del gruppo Bilderberg, noto come il club dei padroni del mondo. A sua volta Serena Sileoni, correttamente presentata come esponente dell'Istituto Bruno Leoni, ne sarebbe addirittura il vice direttore generale. Bruno Leoni - chi era costui? - dirà sicuramente il nostro eventuale lettore di sinistra, molte volte convinto di sapere già tutto. Bene, per chi vuol saperne di più, potrebbe bastare la semplice Wikipedia. Qui si vuol sottolineare che, se Lilli è notoriamente legata al gruppo Bilderberg, Serena, tramite l'Istituto Bruno Leoni, è tutt'uno con la Mont Pelerin Society, per le informazioni di base sulla quale rimando di nuova a Wikipedia.
In realtà la Mont Pelerin Society, meno nota della Bilderberg o della ancor più nota Trilateral, è il più micidiale "carro armato del pensiero", messo in piedi subito dopo la seconda guerra mondiale allo scopo preciso di stroncare comunismo, socialismo, statalismo, welfare, socialità e tutto quel che la classe operaia e le classi sfruttate avevano strappato nel secolo scorso. Di questa Mont Pelerin Society Bruno Leoni, al quale è intitolato l'Istituto italiano, è stato un tempo presidente. Per cui l'Istituto Bruno Leoni è semplicemente il ramo italiano di questa associazione che SISTEMATICAMENTE elabora ed affina le strategie per il dominio culturale liberista (in America chiamato LIBERTARIO), mercatista, capitalista da far trionfare in tutto il mondo.
Segnalo qui un libro bresciano da poco uscito che ha il merito eccezionale di mettere a nudo questo vero e proprio "complotto" mondiale con abbondanza di "prove" testuali. Ne consiglio la lettura integrale, senza farsi scoraggiare dalla scelta puntigliosa dell'autore di supportare tutto il discorso con citazioni testuali, con conseguente impegno richiesto dalla lettura. Ovviamente questo non significa che l'estensore di questa nota condivida in toto le valutazioni che si trovano in questo libro - Antonio Carbonelli - I fondamenti teoretici della "crisi" - Economia fuori controllo o disegno preciso? -, ma ciò che conta è la valenza di disvelamento della mistificazione che ogni giorno ci inonda, e della quale la trasmissione della 7tv rappresenta un caso esemplare.

venerdì 12 febbraio 2016

I due manifesti che si riferiscono alle foibe appesi sulla porta di ingresso del 28 maggio

 I due manifesti appesi sulla porta di ingresso al centro sociale.
Quello a sinistra è il manifesto "ufficiale" della manifestazione promossa dal Comune di Rovato, quello in basso destra è quello dell'iniziativa "spontanea" di Brescia Identitaria -parente stretta di Valtrompia identitaria, protagonista delle manifestazioni razziste in Valtrompia




Per documentarsi minimamente sulla storia della legge che ha istituito il nostrano "Giorno del ricordo" potrebbe forse bastare l'articolo di Wikipedia, con tutti i suoi limiti. Senza dimenticare la sciagurata performance di Napolitano nel 2007, che sposò in pieno la lettura irredentistica semplificata, parlando di "pulizia etnica", suscitando l'entusiasmo delle associazioni egemonizzate dai fascisti e le proteste ufficiali NON della Jugoslavia titina, ma delle "nuove" Slovenia e Croazia. Queste alcune delle "frasi celebri" di Napolitano:
un intero popolo di istriani, fiumani e dalmati, che al confine orientale dell’ Italia, dopo l’8 settembre ’43, furono vittime di un moto di odio e di furia sanguinaria e di un disegno annesionistico slavo che prevalse innanzitutto nel Trattato di pace del 1947 e che assunse i sinistri contorni di una pulizia etnica

Questo invece il testo dei due articoli decisivi della legge incriminata:
 Legge 30 marzo 2004, n. 92

"Istituzione del «Giorno del ricordo» in memoria delle vittime delle foibe, dell’esodo giuliano-dalmata, delle vicende del confine orientale e concessione di un riconoscimento ai congiunti degli infoibati"

pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 86 del 13 aprile 2004





Art. 1.

    1. La Repubblica riconosce il 10 febbraio quale «Giorno del ricordo» al fine di conservare e rinnovare la memoria della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe, dell’esodo dalle loro terre degli istriani, fiumani e dalmati nel secondo dopoguerra e della più complessa vicenda del confine orientale.
    2. Nella giornata di cui al comma 1 sono previste iniziative per diffondere la conoscenza dei tragici eventi presso i giovani delle scuole di ogni ordine e grado. È altresì favorita, da parte di istituzioni ed enti, la realizzazione di studi, convegni, incontri e dibattiti in modo da conservare la memoria di quelle vicende. Tali iniziative sono, inoltre, volte a valorizzare il patrimonio culturale, storico, letterario e artistico degli italiani dell’Istria, di Fiume e delle coste dalmate, in particolare ponendo in rilievo il contributo degli stessi, negli anni trascorsi e negli anni presenti, allo sviluppo sociale e culturale del territorio della costa nord-orientale adriatica ed altresì a preservare le tradizioni delle comunità istriano-dalmate residenti nel territorio nazionale e all’estero.

giovedì 11 febbraio 2016

Nuova provocazione contro il Centro Sociale 28 Maggio


Stranamente da qualche tempo i fascisti non si facevano vedere dalle parti del 28 Maggio. Ci sono quindi tutti i motivi per guardare con inquietudine alla loro ricomparsa questa notte. Sembra che, tra le altre cose, i fascisti ci tengano a far sapere che loro hanno pieno accesso e riconoscimento dalla amministrazione comunale. Leggete qui sotto il comunicato del Centro Sociale:

ENNESIMA PROVOCAZIONE FASCISTA AL CENTRO SOCIALE 28 MAGGIO

Il Centro Sociale 28 maggio di Rovato (Bs) denuncia l’ennesima provocazione dei soliti noti fascisti che hanno affisso stanotte sulla porta del centro due volantini di indizione di due loro  vergognose iniziative sulle foibe che si sono tenute una a Brescia ieri 10 febbraio 2016 organizzata dal gruppo di fasci di Brescia Identitaria con fiaccolata in onore dei martiri del comunismo e una stasera 11 febbraio nel salone del pianoforte del comune di Rovato, evento voluto e finanziato dall’Amministrazione comunale rovatese. Questo connubio la dice lunga sullo stato di cose presente nella nostra provincia dove ormai razzismo e fascismo si istituzionalizzano in barba al dettato costituzionale.
Con questo gesto, come una pisciatina di cane davanti alla porta, i fascisti locali mandano un messaggio minaccioso nei nostri confronti. Questo perché la nostra è una realtà che ha una connotazione politica  molto chiara che non lascia spazio ad interpretazioni.
Negli ultimi anni Brescia e la sua Provincia subiscono una sempre più plateale e pubblica ostentazione di simboli del fascismo, di commemorazioni di personaggi legati al ventennio e alla Repubblica Sociale di Salò unitamente a gravissimi episodi di violenza squadrista e razzista.
Come Centro sociale abbiamo prodotto unitamente a Rifondazione Comunista e ai cittadini per la Costituzione di San Vigilio un dossier di denuncia dal titolo “BRESCIA IN FONDO A DESTRA” Politiche dell’odio nei periodi di crisi. Per l’attuazione della XII disposizione finale della costituzione. Questo documento consegnato al Prefetto di Brescia, al Questore e ai sindaci di Brescia, Concesio e Lumezzane, contiene una denuncia argomentata e documentata delle nefaste azioni di questi gruppuscoli e chiedeva l’immediata chiusura “senza se e senza ma” di tutti i luoghi di aggregazione di queste organizzazioni nazifasciste: in particolar modo le sedi di Forza Nuova a Brescia e Lumezzane e la sede di CasaPound a San Vigilio di Concesio, ora chiusa ma non certo per opera delle autorità competenti. All’interno del documento gli episodi di intolleranza nazi-fascista a Brescia e Provincia dal 2005 al 2013.
A questa presa di posizione netta  e senza remore si aggiunge ora il nostro impegno a San Colombano, dalla fine dell’agosto 2015 teatro di una delle più sconcertanti persecuzioni ai danni non solo dei profughi che lì sono stati inviati dal Prefetto ma degli albergatori che li ospitano, la famiglia Cantoni che patisce un ostracismo e gli effetti di un odio che ricorda episodi tristissimi del periodo fascista nella più totale indifferenza non solo delle autorità competenti a mantenere l’ordine pubblico ma anche dei corpi intermedi.
Il razzismo e il fascismo istituzionale hanno preso il sopravvento in questa nostra provincia anche laddove una coscienza antifa era presente, ora abbiamo sindaci che promuovono iniziative organizzate da fascisti che travisano la storia.

Per questi gravissimi atti, che non dobbiamo mai sottostimare, chiediamo ai compagni e alle compagne di non lasciare il campo alle prevaricazioni fasciste.
La storia si ripete quando la si dimentica, perciò ricordiamoci sempre del nostro passato: il grembo che partorì la cosa immonda è ancora fecondo.

“Ora e sempre resistenza !!!”
le compagne e i compagni del Centro Sociale 28 maggio

martedì 9 febbraio 2016

Sarajevo? - E chi lo sa - L'assassinio di Boris Nemtsov

I gufi, direbbe il "nostro", continuano a prospettare il pericolo, o addirittura la realtà, della terza guerra mondiale. Quella vera, non quella "fredda", che appunto è rimasta fredda come guerra mondiale, anche se è stata molto "calda" per i paesi "periferici" dove è stata combattuta. Valga per tutti l'esempio del Vietnam, dove è stata così calda che gli americani vi bruciavano interi villaggi col napalm. E neppure sarebbe più quella "a pezzetti" evocata a più riprese da Bergoglio - che però, dopo la "parusia" dell'ISIS, l'ha messa in sordina. Ora, non sembrerebbe che Boris Nemtsov possegga la statura simbolica dell'arciduca Francesco Ferdinando, erede al trono d'Austria-Ungheria, e tanto meno la sua accompagnatrice, rimasta per altro illesa, può essere paragonata alla moglie dell'arciduca. Tuttavia nulla si può escludere. Quali sono le ipotesi? Non escludendo un omicidio di tipo mafioso maturato all'interno del sottobosco economico-politico moscovita, l'assassinio di Boris Nemtsov sembra evidentemente gravido di un immediato e pesante significato politico. Tanto più che la vittima stessa sembra avesse già manifestato il suo timore di essere ucciso "da Putin", in quanto suo diretto avversario politico che pubblicamente lo accusa di essere il responsabile della guerra in Ucraina. E quindi - e in questo sta la pericolosità reale dell'evento - questo omicidio potrebbe essere la causa scatenante di disordini destabilizzanti all'interno della Russia. Ma questa conseguenza potenziale è la base stessa della interpretazione opposta, presumibilmente quella avanzata subito da Putin, che ha immediatamente battezzato l'assassinio di Nemtsov come provocazione. Ma chi è Nemtsov? Tutti si affanneranno a spiegarcelo, nelle prossime ore e nei prossimi giorni. Noi abbiamo a disposizione una testimonianza diretta, raccolta nel 2008, sul ruolo di braccio destro di Eltsin ricoperto da Boris Nemtsov. Ecco che cosa diceva di Nemtsov nel 2008, quindici anni dopo il definitivo colpo di stato di Eltsin, uno dei resistenti rinchiusi nel parlamento russo attaccato a colpi di cannone dagli sgherri filo-occidentali che guidarono quell'assalto:
Perché io sono sicuro di questo? Perché proprio a me, pochi mesi - 2-3 mesi - prima degli eventi di ottobre - sono pervenute offerte dalla squadra di Eltsin, in particolare, posso fare il nome di un uomo che ha parlato con me, questo è Boris Nemtsov. Avanzarono offerte dopo l'inizio dello scioglimento del Congresso e del Consiglio Supremo. Già allora questo era chiaro, dopo il marzo 93, quando fu messo a punto lo scenario del lavoro da fare, quando fu fatta la prova del primo tentativo di sciogliere il Congresso ed il Consiglio Supremo, quando Eltsin si rivolse con un appello televisivo alla popolazione della Russia, annunciando che sospendeva l'attività del Congresso, questo poi non si avverò, ma fu la prima prova del copione. Dopo questi tentativi fatti da Eltsin in marzo, Boris Nemtsov si rivolse direttamente a me, disse che il Consiglio supremo e il Congresso sarebbero stati ugualmente sciolti, che sarebbe stata usata la forza contro i sostenitori della legittima autorità, disse che la resistenza sarebbe stata inutile, e mi invitò ad un incontro con Eltsin, promettendo molte, e molto grandi preferenze politiche, promise grandi dividendi. Io, naturalmente, ho rifiutato, ma le condizioni che presentava la parte presidenziale erano molto semplici: quando tutto comincerà, ha detto Nemtsov, non spingete la gente nelle strade; potete criticare, scrivere articoli, ma non spingete la gente nelle strade, esortatela a rimanere a casa. Proprio questo è ciò che ha fatto nel momento critico Gennady Zyuganov, da cui io traggo la conclusione che egli era stato puramente e semplicemente acquistato dalla amministrazione presidenziale. Questa è la mia profonda convinzione. Se egli fa conto che si tratti di una calunnia, che si rivolga al tribunale.
Questo è il significato concreto di quanto affiora anche dai mass-media, quando ricordano che Nemtsov era in procinto di diventare il delfino-successore di Eltsin: nient'altro che il suo tirapiedi. Si sa che che in seguito la banda criminale di Eltsin è stata sconfitta e posta ai margini, fino alla pressoché totale emarginazione di Boris Nemtsov dalla gestione del potere. Non per nulla stava rientrando in scena come quinta colonna della Nato in Russia rispetto alla questiona Ucraina. Ovviamente, e torniamo al dilemma iniziale, questa posizione può giustificare sia l'interpretazione che fa risalire l'agguato ad una diretta responsabilità di Putin. Ma anche, come pure si è detto, può benissimo essere una provocazione che costituisca la scintilla per destabilizzare la Russia, senza che si possa scartare un mix in cui un regolamento di conti all'interno dei "liberali" capitalisti russi funzioni benissimo anche come deflagrante, almeno nelle intenzioni di chi lo ha compiuto, delle difficoltà di una Russia che si trova sotto l'attacco globale occidentale. Qui sotto l'articolo integrale tratta dalla Pravda dell'ottobre 2008:
Ilya Konstantinov: «La verità storica è stata dalla nostra parte»   A Mosca questo fine settimana saranno cerimonie funebri in ricordo dei tragici eventi del mese di ottobre 1993, che è diventato forse il più famoso punto di riferimento della storia moderna della Russia. Dopo tutto, ciò che è accaduto nel mese di quell'ottobre, visto dalla lontananza dei nostri giorni, sembra una cosa dovuta ad una follia collettiva. Il paese era sull'orlo della guerra civile.   Ed ora, guardando le immagini delle riprese televisive del bombardamento del Parlamento col cannone del carro armato, nemmeno si riesce a credere che tutto questo sia potuto accadere nella prospera Mosca, e letteralmente solo ieri usando un metro storico. Ma il tempo corre inesorabilmente in avanti, e i tragici eventi che divisero la società in due parti nell' «Ottobre nero» si appannano gradualmente. Ma si può dimenticare la sanguinosa lezioni della storia? Come dice il vecchio adagio, chi non ricorda il suo passato, è condannato a riviverlo sempre di nuovo.   Anche se è sufficiente l'apertura del più semplice manuale di storia per accertarsi che tutte le riforme e le iniziative fatte sul serio in Russia non sono mai state prive di pesanti sacrifici umani, è vero anche che non è stata una eccezione neppure l'inizio dell'epoca della «democrazia eltsiniana», anche essa abbondantemente marchiata dal sangue umano. A quegli eventi che hanno determinato l'evoluzione politica della Russia per molti anni, in un'intervista a «Pravda.Ru» ritorna con la memoria Ilya Konstantinov, uno dei protagonisti diretti, che al quel tempo era il co-presidente del Fronte di Salvezza Nazionale.   - Dopo 15 anni è cambiato il suo atteggiamento verso l'ottobre 1993?   - Io pensavo che gli eventi di ottobre fossero un colpo di stato di Eltsin e dei suoi sostenitori. Essi sono stati assolutamente incostituzionali, azioni illegali condotte con la violenza, che hanno portato con sé pesanti conseguenze per il paese. Sono assolutamente persuaso che la verità è stata e rimane dalla parte dei sostenitori del Parlamento, e presto o tardi questo sarà riconosciuto dal nostro popolo e dalla comunità internazionale.   Ciò non significa, naturalmente, che il Parlamento ed i suoi sostenitori, vale a dire, noi - i deputati - non abbiamo commesso errori. Si capisce, gli errori ci sono stati, naturalmente, non abbiamo fatto tutto il possibile per affrontare le tendenze autoritarie di Eltsin. Non siamo stati in grado di offrire alla società in modo comprensibile delle alternative chiare e semplici al corso eltsiniano.   Una posizione alternativa in Parlamento esisteva, ma essa non risultava comprensibile alla maggior parte della popolazione, ed in questo vi è una parte sostanziale della nostra colpa. Si capisce, il Parlamento non lo ha fatto, non ha compiuto i passi necessari per facilitare la vita del popolo lavoratore della nostra Russia, per aumentare le pensioni, i salari, le prestazioni, non ha preso quelle misure che la società si attendeva da lui in quel momento, concentrandosi principalmente sulla lotta per il potere, e questi sono stati errori. Ma in generale, naturalmente, la verità storica è stata dalla nostra parte.   - L'esperienza di quegli eventi, come si può usare ora dopo 15 anni? Dal suo punto di vista di che cosa c'è da aver paura nella politica attuale? Forse la ripetizione di questa pagina nera della storia?   - Non credo che la ripetizione di qualcosa di simile sia possibile direttamente nell'attuale situazione politica, ma di principio crisi di questo tipo, di fronte ad uno straordinario cambiamento dell'andamento socio-economico corso si originano inevitabilmente, e in una prospettiva futura, se non saranno tratte le conclusioni da tali tragici eventi, la loro ripetizione è possibile.   - Quale è dal suo punto di vista la lezione fondamentale di quegli eventi?   - A mio avviso la lezione principale è la seguente: quale che sia la Costituzione vigente, bisogna agire nei suoi limiti, nei limiti del campo giuridico esistente. Questo è l'unico modo per evitare spargimenti di sangue, e per evitare di precipitare verso la guerra civile, in situazioni di crisi. Nella Costituzione sono prescritti i meccanismi della perfettibilità della legislazione, sono prescritti i meccanismi per modificare la Costituzione stessa, quindi si deve agire nella cornice della campo legale. Ecco, questa è la principale conclusione: qualsiasi fuoriuscita dal campo legale, è gravida di spargimenti di sangue.   - Ora, d'altra parte, come già da molti anni nelle manifestazioni riguardanti tali tragici eventi, un ruolo primario è svolto dai comunisti e personalmente da Gennady Zyuganov; ogni anno ai primi di ottobre ricompare l'immagine di quasi ogni singolo difensore della Casa Bianca e della Costituzione ... Che cosa ne pensa, è giusto questo?   - Questo rientra nel celebre aforisma: punire chi non aveva colpa e premiare chi non c'era. Zyuganov, naturalmente, ha svolto un ruolo indubbio in quegli eventi, e un ruolo non insignificante; solo che l'importanza di questo ruolo è del tutto diversa dalla valutazione, che egli stesso dà alla sua partecipazione ai fatti dell'ottobre, e dalla valutazione, che si sente sulla bocca dei suoi seguaci. A. Gennady Zyuganov ha compiuto un diretto tradimento del potere sovietico, che aveva giurato di proteggere, che avrebbe dovuto difendere in base alla Costituzione, come cittadino russo, e ha compiuto un diretto tradimento dei suoi compagni, ed in quel numero sono compresi i comunisti, che sono stati tra i difensori del Parlamento, tra i quali davvero in tanti sono stati i membri del PCFR (partito comunista della federazione russa.   Infatti è noto che Zyuganov, alla vigilia dei tragici eventi dell'ottobre, si presentò in televisione con un appello ai membri agli iscritti, affinché i sostenitori del PCUS (partito comunista dell'unione sovietica) non prendessero parte a ad azioni pubbliche ed abbandonassero l'edificio del parlamento, questo è un fatto notorio. Io mi sorprendo di come egli abbia, come dire, l'impudenza di guardare negli occhi quelle persone, che allora stavano sotto le pallottole e sotto il fuoco dei blindati; io, parlando francamente, sono semplicemente sorpreso, ma su questo ormai non c'è niente da fare. E certo che il suo ruolo è stato grande! Io sono assolutamente sicuro che egli agiva in coordinamento con la squadra di Eltsin.   Perché io sono sicuro di questo? Perché proprio a me, pochi mesi - 2-3 mesi - prima degli eventi di ottobre - sono pervenute offerte dalla squadra di Eltsin, in particolare, posso fare il nome di un uomo che ha parlato con me, questo è Boris Nemtsov. Avanzarono offerte dopo l'inizio dello scioglimento del Congresso e del Consiglio Supremo. Già allora questo era chiaro, dopo il marzo 93, quando fu messo a punto lo scenario del lavoro da fare, quando fu fatta la prova del primo tentativo di sciogliere il Congresso ed il Consiglio Supremo, quando Eltsin si rivolse con un appello televisivo alla popolazione della Russia, annunciando che sospendeva l'attività del Congresso, questo poi non si avverò, ma fu la prima prova del copione.   Dopo questi tentativi fatti da Eltsin in marzo, Boris Nemtsov si rivolse direttamente a me, disse che il Consiglio supremo e il Congresso sarebbero stati ugualmente sciolti, che sarebbe stata usata la forza contro i sostenitori della legittima autorità, disse che la resistenza sarebbe stata inutile, e mi invitò ad un incontro con Eltsin, promettendo molte, e molto grandi preferenze politiche, promise grandi dividendi.   Io, naturalmente, ho rifiutato, ma le condizioni che presentava la parte presidenziale erano molto semplici: quando tutto comincerà, ha detto Nemtsov, non spingete la gente nelle strade; potete criticare, scrivere articoli, ma non spingete la gente nelle strade, esortatela a rimanere a casa. Proprio questo è ciò che ha fatto nel momento critico Gennady Zyuganov, da cui io traggo la conclusione che egli era stato puramente e semplicemente acquistato dalla amministrazione presidenziale. Questa è la mia profonda convinzione. Se egli fa conto che si tratti di una calunnia, che si rivolga al tribunale.   - Può essere che proprio grazie a ciò il Partito comunista della federazione russa è poi entrato massicciamente nel nuovo parlamento, e Zyuganov si installò come "opposizione di sua maestà" nei confronti di Eltsin?   - Io penso che questa fosse una delle condizioni dell'accordo, certamente. Infatti, il fronte di salvezza nazionale, del cui Comitato esecutivo io ero il presidente, nel 1993 non fu ammesso alle elezioni, in più io personalmente non ero ammesso, perché c'era un decreto di Eltsin, nel quale c'erano 16 nomi, se la memoria non mi tradisce, ai quali era proibita la partecipazione alle elezioni. Io c'ero in quella lista; invece il nome di Gennady Andreevich (Zyuganov ) non c'era.   - In questo caso, a causa di questa relazione, si può parlare di una responsabilità collettiva di Eltsin e Zyuganov per tutto ciò che ha subito il paese durante gli anni 90?   Io non stavo parlando dei comunisti, parlavo di Zyuganov e dei suoi collaboratori immediati, in quanto i comunisti di base hanno eseguito onestamente il loro dovere. Su Zyuganov ed i suoi, naturalmente, grava la responsabilità; compreso il sangue dei loro compagni di partito.   - A vostro avviso, si possono ora valutare senza odio e pesare dal punto di vista della verità storica quegli eventi lontani?   Io penso che si dovranno mettere i putini sulle "i", perché sono ancora vivi i partecipanti di questi eventi. E in ogni caso cercheremo di portare su di essi ancora più chiarezza. Максим Богатых

Libera nos et libera Genuam – Bresciani al g8 – Genova 2001 – Rimembranze

Bresciani a Genova
Piccola cronaca di come i bresciani hanno scampato le manganellate ed hanno fatto tana a Brignole il 21 luglio 2001

Dalla radio a tutto volume fluisce la cronaca in diretta del G8 di Genova. Da giorni si susseguono le manifestazioni, le piazze tematiche, i meetings. Ci stiamo preparando a partire anche noi. Un treno speciale, da Brescia. Si fermerà a Rovato, Franciacorta, per “quelli del 28 maggio”, poi a Brescia caricherà il grosso. È venerdì, 20 luglio 2001.
Stavolta ci siamo preparati. È la prima volta, da quando operiamo come Coordinamento dei Circoli di Rifondazione Comunista della Franciacorta, Centro Sociale 28 Maggio, sede di Rifondazione Comunista aperta al movimento, parte del movimento. Niente spranghe, servizi d'ordine, militarizzazione. Solo preparazione psicologica, e precauzioni contro i previsti attacchi massicci dei lacrimogeni. Stare uniti, portare l'acqua, il cibo, i telefonini. Stare vestiti, nonostante il caldo, portare occhiali, limoni, contro i gas.
Ed ecco che dalla radio, dalla rete delle radio alternative, echeggiano voci disperate. Un morto... hanno ucciso un ragazzo. La polizia ha sparato. Un ragazzo è morto.
Tra i compagni si sparano telefonato. Che si fa? Hanno ucciso. Hanno sparato. Lo faranno di nuovo. Qualcuno si ritira, per paura, per i genitori, per prudenza. Ma prevale in assoluto la parola d'ordine: “hanno sparato, hanno ucciso, motivo in più per partire”.

Il sacco è preparato
sull'omero mi sta ...”

Che lagna. Ci mancava solo che nelle orecchie risuoni questa stupida canzone da insegnante di musica delle scuole medie di un secolo fa. Un abbraccio alla moglie. Una immagine nella mente. Il bacio del soldato. Che palle. “sembra che tu parta per la guerra”. Sì, la guerra dei disarmati contro i padroni della più mostruosa macchina da guerra che sia mai esistita.

Stazione di Rovato, ore 21.00 di venerdì. Ci contiamo. Siamo in 86. Mica male per la Franciacorta, più qualche confinante bergamasco aggregato. C'è anche un ragazzo marocchino, che vuol venire a tutti i costi. Da quel che si capisce, simpatizza per la manifestazione, ma soprattutto vuol raggiungere Genova. Tentiamo in tutti i modi di dissuaderlo. Niente da fare. A Genova scomparirà subito. Forse l'hanno preso e riempito di botte. Non ne sapremo più nulla di preciso.

A Brescia salgono in trecento e più. Sembra di dire pochi, ma la calca in attesa sotto le pensiline è impressionante. Molti del movimento sono già a Genova. Poi c'è la FIOM, che va per conto suo. Genova chiama. Brescia risponde.

Il treno ed i suoi occupanti cazzeggiano tutta la notte su e giù, qua e là tra pianura ed Appennino. All'alba approdiamo a Sturla. È il primo treno speciale che approda a Genova, quel sabato mattina. Ce lo dice il piccolo uomo in divisa da ferroviere che ci accoglie: il capostazione. È abbordabile. Si scherza: “Berlusconi non aveva detto a tutti i genovesi di andarsene?”. “No, no, ci siamo” risponde. Poi raccomanda di sgomberare velocemente la stazione. Dal momento del nostro arrivo sono previsti altri treni speciali, uno ogni mezz'ora.

Usciamo dalla stazione e ci dirigiamo verso Genova-città. Siamo un bel vedere, all'alba. Un bel battaglione. Un anziano sceso da una Uno bianca si commuove: “Di dove siete” “Di Brescia”. “Bravi. Siete in tanti. Io ho settantadue anni, sono venuto da solo da Ascoli, ho viaggiato tutta la notte”. Una giornalista in agguato a quell'ora del mattino brinca la Mariuccia e le chiede: “Perché siete venuti? Non avete paura?”. La Mariuccia non si fa pregare e le snocciola tutti i perché della nostra presenza.

Si arriva sul lungomare. Il battaglione sceso dal treno di Brescia si divide subito in due gruppi, più o meno di pari consistenza: i compagni del Magazzino 47, di radio Onda d'Urto, quelli del movimento movimentista, se ne vanno per i fatti loro. Rifondazione Comunista ed aggregati si fermano lì. Il sole batte già forte. Ci si riposa dal viaggio notturno. Qualcuno si avventura per le vie a monte del lungomare. Cattive notizie. Le case sembrano deserte, ma è come se urlassero: “che fai in giro, cretino, torna sul lungomare”. Qualcuno ha incontrato la polizia, ci ha anche parlato. Sembra che tra i poliziotti giri la storia di manifestanti che hanno accoltellato un poliziotto. Anzi, dicono che ce la faranno pagare cara. Dalla dirigenza di Rifondazione Comunista arrivano invece rassicurazioni: “il morto l'hanno fatto ieri, oggi non succederà niente”, si pensa.

Il momento della partenza si avvicina. Come ci organizziamo? Rifondazione Comunista ha designato un responsabile della truppa di Brescia, ma non ci sono grandi idee sul da farsi. La Fiorella, prende una bandiera di Rifondazione, si procura una bomboletta nera e scrive “BRESCIA” a spruzzo sulla bandiera; trova un pezzo di canna di bambù, ed ecco fatta l'asta. Questa bandiera rimediata, tenuta alta sopra il corteo, sarà il faro che consentirà al drappello bresciano di restare unito fino alla fine della giornata.

Davanti alla chiesa di Boccadasse comincia ad ammassarsi la testa del corteo. Qualcuno, per osservare, meglio sale sui muretti delle aiuole del lungomare. Ed ecco che dalla direzione di piazzale Kennedy una grossa auto chiara avanza facendosi spazio tra i manifestanti. È una macchina civile, ma sul tetto ruota il lampeggiante della polizia. Il lampeggiante viene ritirato, e, giunta in vista della chiesa, la macchina fa una inversione ad U. Scendono due black bloc, cioè due persone non più molto giovani, tutte vestite di nero con striature biancastre, zaini neri, pantaloncini neri a mezza gamba. L'auto si allontana prontamente, ed i due finti black bloc si dirigono con decisione incontro al corteo, dissolvendosi dentro di esso.

Il corteo è partito. Presso il gruppo dei bresciani arrivano due dirigenti di Rifondazione, che premono sul responsabile della truppa sul campo perché Brescia vada in coda al corteo. Tra di noi si accende una discussione. C'è chi si oppone fermamente: non è convinto per niente che arrivare alle cinque del mattino ed aspettare mezzogiorno per andare in coda sia una scelta intelligente. Siamo fermi ai margini del corteo che scorre da qualche minuto, senza prendere una decisione. “Neanche morti aspettiamo la coda” dice Beppe. “O entriamo o usciamo” si spazientisce Angelo. Lamberto, il capo delegazione, fa valere la sua autorità: “Va bene, decidiamo! Ma parla uno solo!” un attimo di suspense e la decisione arriva: “Entriamo!”. Una decisione fortunata. Fossimo stati in coda.... chiedere a chi c'era, in coda!

Il corteo sfila sul lungomare di Genova, Viale Italia. Proprio lungo questo lungomare! Tutto è tranquillo, quando, ben più avanti di noi, vediamo che dalla cima dei palazzi cominciano a piovere lacrimogeni, così, tanto per gradire. Il corteo – migliaia e migliaia di persone, trecentomila diranno – ordinatamente si ferma, avanza un poco, retrocede un poco, con movimenti lenti e controllati. Al momento nessuno sembra avere paura. Poi si spargono le voci ... “la polizia ha bloccato il corteo” “aspettiamo” “si prende una strada alternativa per risalire verso il centro di Genova”.

E così sarà. La polizia poi romperà il corteo, attaccando selvaggiamente lo spezzone rimasto indietro; attaccherà sulla strada, sui tetti delle case, perfino in mare. Ma noi, i bresciani di Rifondazione, eravamo già passati. Ma non è stata una passeggiata tranquilla. I lacrimogeni hanno cominciato a piovere dappertutto, sparati anche dagli elicotteri. Un fischio acutissimo arriva non si sa da dove, si capisce soltanto che viene verso di noi. Il corteo si disfa e si sparpaglia come acqua da un vaso rotto. Tutti si gettano a terra. Solo la bandiera di Brescia continua a sventolare alta al centro del viale. “Ormai siamo distrutti. Abbiamo paura di tutto” commenta una ragazza, mentre il corteo si ricompone.

Finalmente arriviamo alla meta scelta dal nostro capo delegazione: piazza Romagnosi, sulla sponda destra del Bisagno, presso un ponte che collega le due rive del fiume. Qui il tempo scorre tranquillo. Presso la piazza c'è un grosso circolo di Rifondazione Comunista, dove possiamo entrare ogni tanto per le varie necessità. Nella piazza ci sono pezzi di bancarelle da mercato. Ottimo materiale per fare barricate, pensa qualcuno. Ci sono perfino delle carrette dove, volendo, si può fare anche il pisolino pomeridiano, visto che sembra di essere in un posto sicuro. Non fosse che nell'ampio salone-bar del circolo è accesa la televisione, e ogni volta che si entra si è investiti da una cascata di allarmi: scontri in corso in tutta la città, perfino a Sturla, così lontana dal centro. Che succede? Non ci avevano detto che la giornata sarebbe stata tranquilla?

Più il pomeriggio avanza, più l'atmosfera si fa gravida. Ma di che cosa? Appena di là dal ponte c'è un altro bresciano, quello della radio, che parla in continuazione al telefono, o a una rice-trasmittente. È uno di quelli che al mattino ci hanno lasciato per andare a battagliare in compagnia di quelli del Carlini, con il movimento-movimento. Anche lui è preoccupato: “i compagni sono su, verso Marassi, e la polizia non li lascia scendere”.

Che sta succedendo? In piazza Romagnosi intanto si materializza un personaggio singolare. Arriva su una specie di Vespina, ha la pettorina del Genoa-social-forum. Piuttosto minuto, media statura, un po' riccio, bocca larga, labbra un po' strette, occhi e faccia da gatto, quei gatti con la faccia larga, non triangolare. Ci dice, volgendosi dalla parte della piazza opposta al ponte sul Bisagno: “Vedete quella facciata rossa laggiù? Proprio là, a sinistra, parte una strada che vi porta dritti alla stazione di Brignole. È sgombra, l'ho fatta adesso. È tutta dritta, fino al sottopasso della ferrovia. Appena fuori del sotto passo, prendete a destra e siete già in piazza della stazione.”

Chi è? Un provocatore che ci sta tirando in una trappola? Un angelo del signore in missione per salvarci? Lo scrutiamo. I nostri occhi sono tanti raggi x che lo passano dalla cima dei capelli alla punta dei piedi, senza trovare nulla di sospetto. Il tipo non si offende per questo ispezione ottica, anzi, continua a sorridere, rassicurante. Il “28 maggio” a consulto decide di fidarsi. Se la situazione si farà davvero critica, seguiremo il suo consiglio.

Ed ecco arrivare altri compagni di Brescia. Sono quelli del servizio d'ordine storico. Hanno l'aspetto di chi è reduce da una battaglia. E poi l'allarme cresce. Si spande la voce che gli scontri, o meglio, gli attacchi della polizia, stanno avvicinandosi a noi. Si ha la netta sensazione che Genova, tutta Genova, non sia altro che una gigantesca trappola, dove qualcuno ha deciso di rinchiuderci. Vengono in mente le notizie frammentarie dei giorni precedenti. La minaccia sbandierata di attacchi terroristici dal mare. I carri armati dislocati in Piazzale Kennedy. E se qualcuno avesse pianificato questa gigantesca trappola? Se stessero stringendo i trecentomila manifestanti in una morsa, chiudendo la via del ritorno, la via di Brignole, puntando su una insorgenza esasperata, per dare vita ad una repressione spaventosa? Sennò a che servivano i carri armati? A un vero colpo di stato, con tanto di proclamazione dello stato di emergenza?

Comunque sia, paranoia o realtà, una cosa è certa: bisogna tornare a casa, e per la via più breve, e subito! Una ragazza attaccata al telefonino, grida: “Stanno arrivando!!!”. Il nostro capo delegazione sta parlando fitto con un tipo sconosciuto. Macché sconosciuto. È un pezzo grosso del partito, uno di quelli di Roma, che sta dicendo al capo delegazione di Brescia: “Entriamo dentro, che risolviamo questo problema”. Ma come, entrare nella sede del circolo Bianchini per “risolvere il problema” della polizia che arriva!? E delle centinaia di compagni lì fuori che ne sarà?

In quel preciso momento si alza un grido altissimo: “Viaaa di quiiiiiii !!!” e qualcuno si dirige con passo deciso verso la casa rossa, in direzione opposta al Bisagno, come si era concordato.

Fu un folle volo, a passo di marcia, senza concitazione, ma senza allentamenti, attraverso le vie deserte di Genova, tra automobili incendiate e rovesciate, banche assaltate, vetrine infrante. Due ragazzini in motorino escono da una banca con in mano un computer. Compare perfino il nostro uomo con la pettorina del Genoa-social-forum, sempre con la sua Vespina. Ci chiede di fermarci, o per lo meno di rallentare per un foto ricordo. Tutto il gruppo di Rifondazione di Brescia, un po' sgranato, si sta muovendo verso Brignole, la bandiera rossa con la scritta nera issata su un pezzo di bambù è sempre là, a segnare la strada. Siamo in piena marcia, quando sulla nostra sinistra sentiamo il rombo dell'elicottero. Viene esattamente da est, taglia a 90 gradi il nostro percorso. Ci oltrepassa, ci vede, torna indietro. Si abbassa, si abbassa su di noi. Adesso comincia a spararci i lacrimogeni, pensiamo. Invece no, indugia ancora un po' e ritorna da dove è venuto.

Che ore saranno? Le cinque del pomeriggio, più o meno; più più che meno. Raggiungiamo il sotto passaggio. Lungo, non finisce più. E poi usciamo al sole. Ecco la stazione di Brignole. Da lì, lo sappiamo dal mattino, devono partire i treni che ci riporteranno a casa. Adesso siamo al sicuro, pensiamo. Non oseranno attaccare centinaia di persone che evidentemente sono lì perché vogliono tornare a casa. Non potranno dire che erano black bloc scatenati che volevano distruggere Genova. Erano solo duecento bresciani che volevano tornare a case, e che volevano tornarci ad ogni costo. Affacciati sul largo spiazzo deserto della stazione, vicino ai giardinetti deserti, dall'alto del terrapieno dei binari, c'è un gruppo di sette o otto uomini. Prima ancora che ci accorgiamo di loro, ci gridano dall'alto: “Voi di dove siete?”. “Di Brescia” rispondiamo. E loro di rimando “Allora il vostro responsabile è Lamberto Lombardi. Dove è?”. E loro come fanno a saperlo? Chi sono? Amici o nemici? Ad ogni buon conto rispondiamo che anche il capo arriverà.

Davanti alla stazione lo spazio è enorme, e vuoto, al momento del nostro arrivo. Comincia l'attesa, tra telefonate, notizie che si rincorrono, capannelli. La stazione è chiusa, ermeticamente chiusa. Ma dovranno pure farci partire, prima o dopo.

Il tempo passa. Qualche gruppo di compagni, oltre ai bresciani, comincia a comparire. E finalmente, dal sottopassaggio sbuca una vera colonna di compagni, ben inquadrati, numerosi, ancora con la banda in funzione e vogliosa di suonare le canzoni della ribellione. Ora i compagni davanti alla stazione sono alcune migliaia. Forse adesso qualcosa si muoverà.

Invece la stazione rimane ostinatamente chiusa. Invece degli annunci liberatori degli orari dei treni in partenza per il ritorno a casa, dal sottopasso sbuca un blindato, a gran velocità, e poi un altro, e poi un altro, a decine, uno appresso all'altro. Da una botola sul tetto di ogni blindato sbuca un poliziotto, col lanciagranate spianato e puntato. Dal gruppo di compagni arrivati per ultimi, ammassati vicino al passaggio dei blindati, si alzano urla di protesta, insulti, sberleffi verso i poliziotti che sfrecciano veloci. Qualche compagna non regge la tensione, e prorompe in un pianto nervoso. Ma non è finita: da una via prossima allo sbocco del sottopasso arriva un'altra colonna che raddoppia la scena di prima. Altre decine e decine di blindati, altre e più alte urla dei dimostranti. Un poliziotto sembra capire l'assurdità del lanciagranate spianato, lo alza in alto, e lo appoggia in riposo sul tetto del blindato. Uno su cento.

La massa dei manifestanti in attesa davanti alla stazione si ingrossa. Ormai saranno quindici mila. Qualcuno si chiede dove siano finiti i blindati che ci sono passati davanti. Non possono essere svaniti nel nulla. Davanti alla stazione lo spiazzo è grandissimo, in parallelo alla stazione e ai binari. Invece davanti, voltando le spalle alla stazione, la piazza non sembra così grande. Meglio, non si capisce quanto sia grande, perché, dopo un tratto pavimentato, si vede che comincia una zona alberata, ma poi si intuisce che il terreno forma una schiena d'asino, e non si vede oltre. E davanti alla zona alberata si sono posizionate molte ambulanze, le Misericordie di Genova. Sono più di una decina e sembrano costituire uno schermo. Qualcuno si stacca dai manifestanti, le usa come copertura, le oltrepassa, si inoltra nella zona alberata, guarda oltre. Mio dio, ecco dove sono finiti i blindati. Da lì si vede che la piazza nel suo complesso è davvero immensa, e tutta la parte non visibile dalla stazione è letteralmente circondata da una schieramento continuo di blindati alternati a gip, per tutto il perimetro della piazza. E davanti agli automezzi, una triplice fila di militari in assetto da guerra. Migliaia, si direbbe. Una trappola, un'altra trappola. Ma non la finiranno mai?

Finalmente la stazione viene aperta, ed il malvagio signor Hyde istituzionale che ha imperversato per tutta la settimana, e che è ancora in agguato nella parte nascosta della piazza, si trasforma nel buon dottor Jekyll nelle vesti del comune di Genova che ha preparato nei locali della stazione distribuzione di acqua e di cibo per i manifestanti.

Qualche treno comincia a partire, ma poi tutto sembra bloccarsi. In stazione si incontrano gruppi di poliziotti in servizio. Alcuni sogghignano sotto i baffi, come se avessero in serbo qualche sorpresa; qualche altro sembra decisamente vergognarsi di quello che accade. Davvero non è ancora finita?

Arriva l'autorizzazione a salire sui treni. Ne è passato di tempo, ormai è notte sempre più avanzata. Ma il rombo degli elicotteri, che si è sentito per tutta la giornata, non è cessato. Anzi, sarà l'effetto della notte, sembra sempre più intenso ed ossessivo, e continuerà per molto tempo a turbare i sonni anche di chi non ha avuto da Genova danni più gravi. E i treni non si muovono. Siamo ancora fermi in stazione quando arrivano, per radio, per telefono, le prime notizie dell'attacco alla Diaz ed al centro informativo del G8. L'urlo di rabbia strozzata che sale in gola a ciascuno ti spingerebbe a scendere dai treni, ad uscire dalla stazione, a fare ... che cosa? Là fuori c'erano – ci saranno ancora, di certo – migliaia di uomini in assetto da guerra. E non dimentichiamo i carri armati. Qualcuno lo grida anche: “giù dai treni!!!”. Per fortuna nessuno si muove. Forse, anche senza saperlo con certezza, ognuno ha sospettato la trappola. Oppure tutti sono troppo stanchi. È un fatto che, mentre avveniva il massacro della Diaz, migliaia di manifestanti erano ancora sui treni a Brignole.

Molti si sono chiesti quale fosse lo scopo di quel massacro. Se si pensa che vi sono stati impegnati dirigenti di primo piano dei servizi segreti, che a Brignole i treni erano stati tenuti fermi per ore, fino al momento dell'attacco, che attorno alla stazione erano pronti migliaia di uomini, non si può certo escludere che gli obiettivi della operazione Diaz, se la miccia avesse funzionato, fossero ben più ambiziosi di un puro sfogo di violenza sadica su un centinaio di manifestanti, in buona parte stranieri.

Poi anche il treno per Brescia, via Milano-Rogoredo, parte, per fermarsi poco dopo in piena galleria. Ancora un po' di tensione, come se non bastasse la dose assorbita in tutta la giornata. Ma non accade nulla. Il treno riparte, senza altri inciampi, anche se la sosta è lunga. In alcune stazioni, sulla via del ritorno, la presenza della polizia è massiccia.

A Rogoredo, dal treno scendono i milanesi: è ancora quasi notte, ma si intravedono sulla banchina sfilare uno dopo l'altro decine di ragazzi con lo zaino sulle spalle, come vecchi partigiani. Sembrano smilzi, quasi smagriti. Di certo sono fra quelli che si sono fatti tutto il G8 al Carlini. Sembrano curvi, abbattuti, non solo per bilanciare il peso degli zaini. Forza ragazzi, per un volta avete vinto, abbiamo vinto. Per una volta chi ha perso ha vinto.

Ma poi è cominciata un'altra storia. Chi doveva tradurre in politica la vostra, la nostra vittoria, ha pensato di usarla per cucinarla alla sua bottega. Mandando in rovina se stesso. E tutti noi.


Ma chi non si arrende vince sempre.

Da  http://variazioni.myblog.it/2011/07/25/libera-nos-et/  Pubblicato il: 25 luglio 2011 @ 14:50

Il 2010 sarà peggio

   

Il 2010 sarà peggio – by mont(y) pelerin society

  Il 2010 sarà probabilmente l'anno cruciale in cui i luminari la smetteranno di riferirsi alla recessione e cominceranno a parlare apertamente di depressione. Il nostro problema economico è alquanto semplice da descrivere: c'è un debito troppo alto rispetto alle entrate e/o ai beni. Qui sotto c'è un semplice grafico che ritrae la condizione della nostra economia. Esso mostra il debito totale degli USA come percentuale del PIL (in inglese = GDP) dal 1870 in avanti. La figura include ogni debito privato e pubblico; ma non include i passivi associati a mandati governativi privi di copertura, come la Sicurezza Sociale e l'Assistenza Sanitaria. (Nota: secondo gli amministratori d questi fondi, il valore attuale di questi debiti è di circa 106.000 miliardi dollari. La loro inclusione spingerebbe il rapporto indicato qui sotto vicino al 1.000%).  
  L'ammontare del debito in rapporto al PIL è scioccante dal punto di vista storico. Alcuni punti vanno sottolineati nel grafico:  
  • Nel lungo periodo la “norma” del rapporto si aggira intorno al 150%. Le linee rosse racchiudono la “norma” tra il 130% e il 170%.
  • Al di fuori dei due periodi di boom iniziati nel 1920 e nel 1980, il rapporto non è mai andato oltre il limite superiore.
  • Ogni sforamento del limite è sfociato in una enorme boom della spinta creditizia. Il primo è finito nella grande depressione. Il secondo produrrà un collasso simile se non maggiore (siamo solo all'inizio di questo evento).
  • L'espansione del credito che portò alla grande depressione non era per nulla così sovradimensionata come l'espansione attuale.
  • Il picco del credito si verificò quando la Depressione era già cominciata. Ben presto nel corso di essa le spese del governo ed la resttrizione del PIL continuarono a spingere all'insù la percentuale.
  • Dopo che il grafico è stato pubblicato, il rapporto è giunto vicino al 380%, circa il doppio di quando gli USA entrarono nella Depressione.
  • Mentre sembra che l'indebitamento privato corrente abbia raggiunto il picco, il finanziamento dell'enorme debito governativo continua a spingere all'insù il rapporto, così come fa la restrizione del PIL.
Nessuna teoria economica rende conto di una vera “norma”, ma è intuitivo che un tale numero esista. Il debito non deve eccedere una certa percentuale, se deve essere saldato. Nelle attività bancarie per più di un secolo si sono usate proporzioni concettualmente equivalenti come criterio per i prestiti verso singoli e imprese. Per varie ragioni, le banche hanno trascurato queste linee guida nei due decenni scorsi, contribuendo molto alla bolla creditizia.   Il governo ha deciso che la cura per un debito troppo alto è un debito più alto. Questa soluzione non può funzionare, specialmente se il credito è già così sovradimensionato. Le entrate ed i beni non possono supportare l'attuale livello del debito. Malgrado gli sforzi del governo, il debito tornerà nella media. Per via di pagamenti ordinari, o per crollo, la riduzione è inevitabile.   Ludwig von Mises individuato i limiti del credito in “La teoria della moneta e del credito”, originariamente pubblicato nel 1912. come ha detto più tardi:
Non c'è modo di evitare il collasso finale di un boom causato dalla espansione del credito [debito]. L'alternativa è solamente tra un arrivo anticipato della crisi, come risultato di una rinuncia volontaria ad una ulteriore espansione del credito [debito], o più tardi, come una finale e totale catastrofe del sistema monetario interessato.
Nel 2009 non era possibile finanziare il fabbisogno di capitali degli USA con i mercati convezionali. Soltanto attraverso una esplicita (e fittizia) emissione agevolante della FED il governo è stato in grado di coprire il suo deficit del 2009. Discutendo del 2009, Zerohedge ha dichiarato:  
C'era un enorme credito e penuria di liquidità, ed allora c'è stata la emissione agevolante. Quest'ultima equivale ad una ingessatura della FED su quella salma Zombificata e Ponzificata, meglio conosciuta come economia USA. Ha funzionato per un po', ma ora lo zombie sta per tornare di nuovo nella condizione critica, seguita da quella di coma, e da ultimo, da quella di morto vivente (alleggerito anche della pensione complementare).
  Zeroedge stima che la domanda (il finanziamento) per titoli a reddito fisso usa deve crescere di undici volte per fornire i capitali necessari nel 2010. La continua restrizione della partecipazione estera nei mercati dei titoli fissi USA rende impossibile questo aumento.   Ci sono solo tre possibilità riguardo alla raccolta dei finanziamenti necessari nel 2010:    
  • La FED continua le sue emissioni facilitanti oltre il termine del marzo 2010 stabilito per la loro cessazione.
  • La FED alza i tassi di interesse ad un livello che potrebbe attrarre il capitale necessario per finanziare le operazioni governative attraverso i mercati del credito tradizionali.
  • Nessuna azione viene intrapresa dalla FED. Questo causerebbe la inadempienza del governo in alcuni delle sue obbligazioni.
  Nessuna di queste alternative è attraente. L'incommestibile alternativa deriva dalle precedenti politiche di FED e governo. Per evitare la recessione negli ultimi cinquant'anni, il governo ha abusato ed alla fine esaurito ogni ragionevole possibilità. Dopo anni di malconduzione, il governo è in una difficoltà del suo proprio operare, per la quale non ci sono scappatoie.   Tutte le alternative saranno molto penose, e non offriranno la possibilità di un recupero tradizionale. Non importa quale sia l'alternativa scelta, il paese non può evitare una depressione. A questo punto, il “non fare altri danni” deve guidare la politica.   Delle tre alternative, la migliore sul piano economico è la peggiore su quello politico. Questo conflitto naturale tra buona economia e bbuona politica non è inusuale. Economicamente il paese sarebbew danneggiato di meno attuando l'alternativa 2. Dal punto di vista politico l'alternativa 2 e 3 sono probabilmente inaccettabili.Così è probabile che verrà tentata (ancora) l'alternativa 1. Ma è esattamente il continuo abuso della alternativa 1 che ha portato al grave stato presente.   L'alternativa 1 non può funzionare. Non si eviterà la depressione. Peggio, ne risulterà l'iperinflazione. Così finiremo probabilmente nel peggiore di tutti i mondi. Con l'iperinflazione la moneta cesserà di essere un mezzo di scambio. I mercati cesseranno di funzionare, se non sulla base del baratto. La classe media sarà cancellata. I suoi risparmi saranno svalutati, insieme col dollaro. La fine sarà quella che Mises aveva pronosticato tanti anni fa.   La possibilità di perdere la nostra forma di governo è un rischio reale sotto ognuna di queste alternative. Così ci saranno sommosse e conflitti civili. Probabilmente tutto sarebbe più simile a questo sotto la prospettiva 1 a causa degli effetti corrsivi di un'alta inflazione combinata con la depressione.   Attenzione allo scorrere del calendario. Le cose stanno per diventare interessanti, e probabilmente in modo molto veloce.   di Monty Pelerin traduzione di atiglio1 Nota del traduttore: Monty Pelerin è lo pseudonimo dell'autore. L'uso di questo pseudonimo, per dichiarazione dell'autore stesso, fa esplicito riferimento alla “Mont Pelerin Society”, un'organizzazione planetaria che persegue il liberalismo economico. Fu istituita il10 aprile del 1947 da 36 fra economisti, storici, filosofi e altri riunitisi presso la spa svizzera di Mont Pelerin. Per avere una informazione veloce vedi la voce su Wikipedia Italia: http://it.wikipedia.org/wiki/Mont_Pelerin_Society In poche parole si tratta di uno dei centri di elaborazione delle strategie globali del capitalismo. Tra i suoi promotori si trova il fior fiore di tutto l'anticomunismo, di coloro che, almeno sul piano culturale, hanno guidato la “guerra ideologica” degli anni dei colpi di stato in Cile, in Argentina; delle politiche reazionarie di Tatcher e Reagan, eccetera. Basti dire che su 76 consiglieri economici di Reagan durante la campagna elettorale del 1980, 22 appartenevano alla “Mont Pelerin Society”. Ma forse proprio per questo il nostro “Monty” è assolutamente credibile in quello che scrive. Naturalmente noi possiamo poi fare un uso diverso dal suo rispetto alle sue previsioni sulla situazione attuale della economia USA. Riservandoci il lusso di godere un pochino nel vedere il dispetto di “Monty” di fronte ai risultati del mondo che lui – forse – ma il suo gruppo certamente hanno contribuito a creare. Per chi sa l'inglese, o anche è solo ficcanaso, il sito di “Monty” è http://www.economicnoise.com/
Traduzione di Attilio Zinelli
Nota del traduttore:
Monty Pelerin è lo pseudonimo dell'autore. L'uso di questo pseudonimo, per dichiarazione dell'autore stesso, fa esplicito riferimento alla “Mont Pelerin Society”, un'organizzazione planetaria che persegue il liberalismo economico.
Fu istituita il10 aprile del 1947 da 36 fra economisti, storici, filosofi e altri riunitisi presso la spa svizzera di Mont Pelerin. Per avere una informazione veloce vedi la voce su Wikipedia Italia:
In poche parole si tratta di uno dei centri di elaborazione delle strategie globali del capitalismo. Tra i suoi promotori si trova il fior fiore di tutto l'anticomunismo, di coloro che, almeno sul piano culturale, hanno guidato la “guerra ideologica” degli anni dei colpi di stato in Cile, in Argentina; delle politiche reazionarie di Tatcher e Reagan, eccetera. Basti dire che su 76 consiglieri economici di Reagan durante la campagna elettorale del 1980, 22 appartenevano allaMont Pelerin Society”. Ma, per tutti, può bastare, a livello mondiale, il nome di Milton Friedman, il famigerato guru dell'economia che si precipitò in Cile al tempo della mattanza operata da Pinochet, per mettere in atto la “Dichiarazione di intentidella società, che si proponeva (e si propone) di difendere “i valori essenziali della civiltà, identificati con la “fede nella proprietà privata e nel mercato competitivo. Su questi ambientini vedi: http://www.altremappe.org/GuerraPreventiva/imperoinvisibile1.htm .
Ma forse proprio per questo il nostroMonty” è assolutamente credibile in quello che scrive. Naturalmente noi possiamo poi fare un uso diverso dal suo rispetto alle sue previsioni sulla situazione attuale della economia USA.
Riservandoci il lusso di godere un pochino nel vedere il dispetto diMonty” di fronte ai risultati del mondo che anche lui personalmente – forse – ma il suo gruppo certamente hanno contribuito a creare.
Per chi sa l'inglese, o anche è solo ficcanaso, il sito diMonty” è http://www.economicnoise.com/ .
Dulcis in fundo” aggiungiamo alcune note alle considerazioni del nostro “Monty Pelerin.
Curiosamente, ma in sintonia con la scuola di pensiero di cui fa parte, egli guarda il grafico della FED (abbreviazione di Federal Reserve, il nome della banca centrale americana) come se fosse un quadro, quasi un'opera d'arte. O meglio, come se fosse un amuleto, un abracadabra, una lampada di Aladino che ha il potere di sprigionare magicamente la realtà.
Ma basta mettere il grafico in relazione molto grossolana con la storia degli Stati Uniti, perchè buona parte dell'arcano si dissolva.
Senza farla troppo lunga, gli anni di “stabilità”, dal 1870 al 1920 coincidono con l'affermarsi ed il consolidarsi degli Stati Uniti come grande potenza industriale, cioè coincidono con un effettivo e massiccio allargamento della base produttiva, sulla spinta della vittoria dei capitalisti puri del Nord contro gli schiavisti parassitari del Sud. L'aumento della base produttiva si basa su un brutale sfruttamento operaio, con l'uso anche diretto dell'esercito, oltre che con il continuo flusso immigratorio (1870-1890). Poi la linea del grafico comincia lentamente, ma inesorabilmente a salire. Da notare la brusca inversione di tendenza dopo la partecipazione vittoriosa alla prima guerra mondiale, curioso fenomeno che si ripete in forma spettacolare dopo l'analoga, e ben più decisiva sul piano del dominio mondiale, partecipazione degli USA al secondo conflitto mondiale. Tornando agli anni Venti, il grafico mostra che l'interventismo economico del presidente Wilson (1913-1919, quando Wilson viene colpito da ictus e non conterà più nulla) coincide con il fatto che il debito pubblico rimane assolutamente stabile, a parte la “gobba” del 1916 presumibilmente dovuta alle spese militari di preparazione alla guerra. Quando invece comincia la serie dei presidenti “liberisti”, dal !921 al 1933, il debito si impenna, come si accorge anche Monty Pelerin. Ma appunto, sembrerebbe, secondo l'illustre economista, che si tratti di animazioni epilettoidi del grafico stesso, senza alcuna relazione col “credo politico-economico”, e con la pratica, dei vari Harding, Coolidge ed Hoover, presidenti degli USA in quel periodo. E che cosa fa in particolare Coolidge, presidente dal 1921 al 1929? Sul piano teorico “si dimostra determinato nel preservare l'antica morale e i precetti economici anche nella prosperità fiorente(Wikipedia). Sul piano pratico pensa che “la guida degli affari del popolo americano deve essere lasciata agli affari, e quindi taglia le tasse e le spese sociali. Ma ecco che stavolta non è più il grafico a mostrare movimenti epilettoidi ingiustificati. Coolidge sembra incarnare quasi alla lettera le prescrizioni della Mont Pelerin Society, venti anni prima della sua nascita, ma questa volta è la Storia stessa, che proprio allo scadere del mandato di un tale presidente liberista modello, si scatena nella Prima Grande Depressione. La Seconda Grande Depressione è faccenda dei nostri giorni, e sembra scritta come una copia carbone della Prima. La storia non vuol saperne di imparare la lezione che torme di sapienti di tutto il mondo vogliono insegnarle.

Da  http://variazioni.myblog.it/2010/01/25/il-2010-sara-peggio/  Pubblicato il: 25 gennaio 2010 @ 23:57